Gesù: “L’acqua viva? Sono io”

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini III Domenica di Quaresima - anno A

Il periodo che comprende le tre ultime domeniche di Quaresima è detto tradizionalmente “Quaresima catecumenale”, perché coincide con le catechesi conclusive che si davano ai catecumeni, in preparazione al battesimo della notte di Pasqua. I tre Vangeli, che erano a fondamento delle catechesi, sono tratti dal libro dell’evangelista Giovanni: il colloquio con la samaritana, che ascolteremo in questa domenica, la guarigione del cieco nato e la risurrezione di Lazzaro. Essi corrispondono a tre momenti fondamentali della fede in Cristo Gesù: Gesù acqua viva / datore dello Spirito, Gesù illuminatore e luce del mondo, Gesù vita e risurrezione.

Al centro di questa terza domenica c’è l’immagine di un pozzo; seduto a terra, Gesù; in piedi, una donna con una brocca. Gesù e la donna stanno parlando. Il colloquio è ricco di sfaccettature. Si parla di acqua viva, di sorgente zampillante, di vita eterna, di cibo, di obbedienza alla volontà di Dio, di adorazione in spirito e verità. Non è possibile commentare tutto. Ci concentreremo nel punto in cui tutti i motivi si annodano: “Sono io” (Gv 4,26). L’espressione greca, che molti conoscono e che torna spesso nel Vangelo secondo Giovanni, suona: Egò eimì, che a sua volta traduce l’ebraico JHWH, nome impronunciabile, con cui Dio rivela se stesso a Mosè ai piedi del Sinai. Gesù afferma così la propria identità: lui e il Dio dell’Esodo sono una cosa sola.

Tutto era cominciato in modo molto feriale: Gesù, stanco e accaldato, si ferma presso un pozzo e chiede da bere a una donna, che nel frattempo era giunta per attingere. La donna è stupita della richiesta, giacché le relazioni fra giudei e samaritani non sono buone. Del resto come può un giudeo bere dalla brocca di una donna semi-pagana? Da questa iniziale stranezza, attraverso un susseguirsi d’incomprensioni, il dialogo sale faticosamente di livello. Mentre Gesù prova a portare la questione su piani sempre più profondi, la donna rimane ostinatamente aggrappata alle sue visuali terrene. Lui parla di acqua viva che l’avrebbe dissetata definitivamente, lei domanda dove si trova quella sorgente che le avrebbe risolto i problemi di approvvigionamento idrico quotidiano. Poi Gesù rompe gli indugi: “Vai a chiamare tuo marito” (Gv 4,16).

A questo punto lei si sente scoperta e capisce di trovarsi dinanzi a un profeta. È il primo livello di conoscenza: quel giudeo è un profeta. Allora lo interroga su un tema religioso di attualità: dove bisogna adorare Dio, qui o a Gerusalemme? (Gv 4,20) Gesù risponde: d’ora in poi Dio si adorerà in Spirito e verità (Gv 4,24). La risposta non le deve essere risultata del tutto chiara, e quindi la donna ribatte: quando verrà il Messia, lui ci spiegherà ogni cosa (Gv 4,25). A questo punto il discorso è maturo; Gesù può rivelarsi completamente: Egò eimì. Ma perché una rivelazione così importante a una donna come questa, una straniera, un’eretica e di costumi non propriamente specchiati? Forse Dio l’ha scelse come icona di tutti i desideri inappagati, di tutte le frustrazioni, di una vita assolutamente ripetitiva e insoddisfatta. Lo testimonia l’alternarsi di cinque mariti e di quel sesto uomo, con cui ora vive, che non è suo marito: “Non ho marito” (Gv 4,17).

Lo sconosciuto giudeo glielo svela impietosamente. Ora lei è in condizione di accogliere l’uomo che potrà finalmente colmare i suoi desideri: l’Uomo-Dio. Il discorso della sete, del resto, veniva da lontano. Da sempre l’uomo ha cercato la vita lungo corsi d’acqua o vicino a pozzi. Insieme al bisogno di acqua fisica, ha da sempre sperimentato anche sete di amore, di stima, di compagnia, di senso, che mai però ha potuto appagare del tutto. Il simbolismo dell’acqua rimanda anche alla sua capacità purificatrice, donatrice di vita, produttrice di frutti, ristoratrice, sorgente di giovinezza. L’acqua scaturita viva della roccia nel deserto (Es 17,6); l’acqua viva promessa da Gesù alla donna di Samaria.

Qualche tempo più tardi, Gesù sarà a Gerusalemme durante la festa di Sukkot (festa delle Capanne), che durava una settimana. L’ultimo giorno della festa, quando abbondanza di acque scorreva nei cortili del Tempio, si sentì Gesù gridare: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; fiumi di acqua viva scaturiranno dal suo seno” (Gv 7,37). L’evangelista Giovanni commenta: “Egli designava così lo Spirito che dovevano ricevere i credenti in lui” (7,39). Lo Spirito insegnerà ai credenti ad adorare Dio in Spirito e verità (Gv 4,23). “Solo quest’acqua può estinguere la nostra sete di bene, di verità e di bellezza! Solo quest’acqua, donataci dal Figlio, irriga i deserti dell’anima inquieta e insoddisfatta” (Benedetto XVI).

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all'Ita di Assisi