Tra le anticipazioni del nuovo libro di Papa Benedetto XVI su Gesù di Nazaret, ve ne sono alcune che riguardano il Vangelo secondo Matteo, e in particolare un capitolo della Passione, nel quale sono narrate alcune scene tramandate esclusivamente dal primo evangelista. Nel contesto del capitolo 27, infatti, Matteo scrive che “tutto il popolo” che si era radunato davanti al prefetto, gridò, in risposta a Pilato, che se ne lavava le mani della situazione di Gesù: “Il suo sangue su di noi e sui nostri figli” (Mt 27,25). Questo versetto, ritenuto da alcuni il più difficile di tutto il primo Vangelo, ha generato nella storia diverse interpretazioni. La prima è quella della cosiddeta “automaledizione”, secondo la quale così come il popolo di Dio in Dt 27,14-26 (un testo ricordato come quello tra i più vicini alla scena matteana, in quanto è tutto il popolo a rispondere ogni volta “amen” ai leviti) si attira la maledizione per non aver rispettato quanto promesso a Dio, allo stesso modo tutto Israele, presente davanti a Pilato, meriterebbe il castigo per aver condannato a morte Gesù. La formula sul sangue di Matteo è stata intesa in questa chiave, all’interno della Chiesa, solo a partire dal IV-V sec., ma da allora diventerà il locus classicus che avrebbe sancito la teologia della sostituzione, il fatto cioè che Israele sarebbe stato rigettato in modo irreparabile da Dio. Questa lettura è purtroppo ancora diffusa in molti commentari a Matteo, come quello usato nelle chiese cattoliche Usa, in cui leggiamo che “le folle di Gerusalemme invocano su di sé una maledizione, scommettendo così sulla propria vita. La loro colpa, alla fine, porterà alla distruzione della città santa”. Diverse imprecisioni si intrecciano in queste frasi: in particolare l’identificazione della folla con tutto Israele, e il collegamento della condanna di Gesù con la distruzione di Gerusalemme. Ad esse si può rispondere che la teoria dell’automaledizione è difficilmente armonizzabile col resto del Nuovo Testamento. Pensare cioè che una maledizione si inveri al punto da portare alla morte di migliaia di ebrei di Gerusalemme, alla distruzione della loro città, e del Tempio, non solo è in contrasto con le parole di perdono di Gesù sulla croce (Lc 23,34: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”), ma con tutta la soteriologia del Nuovo Testamento, come formulata in modo particolarmente efficace in Ebrei12,24, secondo cui il sangue di Cristo “è più eloquente di quello di Abele”. È per questa ragione che nuove interpretazioni sono state avanzate al fine di spiegare la scena matteana. Tra le diverse di cui dovremmo rendere conto, ne segnaliamo una. A partire dal rinnovamento biblico connesso al Concilio Vaticano II, e grazie ad esegeti cattolici come R. Brown, viene avanzata l’interpretazione delle parole della folla nel senso di un’assunzione di responsabilità. Così scrive Brown: “Con l’espressione ‘il suo sangue su di noi e i nostri figli’, le folle che parlano a nome di tutto il popolo se ne assumono la responsabilità. Non sono persone assetate di sangue, né senza cuore; infatti sono convinte che Gesù è un bestemmiatore, come il sinedrio lo ha giudicato. Ora, nella prospettiva di Matteo, ironicamente esse sono le uniche che alla fine hanno accettato la responsabilità, mentre tutti gli altri hanno tentato di evitarla. Gesù è innocente, per Matteo questo significa che Dio ha fatto o farà ricadere il suo sangue su tutti quelli coinvolti; tra questi, assai sicuramente c’è ‘tutto il popolo’, che ha accettato la responsabilità”. Nemmeno questo tipo di lettura, però, ha soddisfatto gli esegeti, che infatti vi hanno trovato diversi punti deboli. Anche se essa (diversamente dalla precedente), non è direttamente antigiudaica, non ha precedenti chiari nella Bibbia ebraica che possano avvalorarla. Soprattutto, però, sono pericolose alcune conseguenze di essa: gli assertori di questa interpretazione giungono, infatti, conseguentemente, ad elaborare significati successivi del senso della frase, fino ad arrivare ad affermazioni inaccettabili. Un esegeta americano, D. Senior, ad esempio, sostiene che la responsabilità assunta in quel momento è estesa non solo a coloro che gridarono davanti a Pilato, ma addirittura ad un indefinito futuro, perché si tratterebbe di un rifiuto perenne di Dio, che solo da Dio può essere revocato; così anche J.F. Quinn ritiene che se “l’intero Israele, la nazione tutta, accetta la responsabilità della morte di Gesù… non solo l’accettano per loro, ma accettano che possa passare ai loro figli”. La conseguenza di tali ragionamenti non può essere altro che, ovviamente, un ritorno all’antigiudaismo e ad una teologia sostituiva. Ecco perché nelle ultime ricerche sul nostro versetto, successive a quelle degli autori appena citati, la tendenza interpretativa è quella di non allargare più la responsabilità a tutto il popolo, ma di limitarla solo a quel piccolo gruppo che era presente tra la folla, se non esclusivamente ai loro leader, e comunque mai alle generazioni future. È quanto troviamo scritto anche nel libro di Benedetto XVI.
Quella frase terribile nel Vangelo di Matteo
Esce il nuovo volume di Benedetto XVI dedicato a Gesù. Una riflessione del biblista padre Michelini su un brano controverso
AUTORE:
Giulio Michelini, ofm, biblista