Pubblica illegalità? Una patina diffusa

I dati emersi alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei conti dell’Umbria

C’è un po’ di marcio anche nella pubblica amministrazione dell’Umbria, una patina di illegalità, malcostume e furberie che leggi e leggine non aiutano a rimuovere. Lo hanno denunciato nella cerimonia per l’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei conti il presidente della sezione giurisdizionale Lodovico Principato ed il procuratore regionale Agostino Chiappiniello. A Roma, nell’analoga cerimonia a livello nazionale, qualche giorno prima il procuratore generale Mario Ristuccia aveva riferito che nell’ultimo anno in Italia i procedimenti riguardanti casi di corruzione nell’amministrazione del denaro pubblico sono aumentati del 30 per cento. In Umbria invece, secondo i dati della Corte dei conti regionale, c’è una pubblica amministrazione “abbastanza sana”. Certo – ha detto Principato – anche se non sono state accertate “gravi irregolarità”, ci sono tanti “piccoli episodi” di cattiva gestione delle risorse pubbliche. Dall’impiegata della Provincia di Perugia che timbrava il cartellino in ufficio e poi andava in piscina, agli addetti alla guardia medica dell’Asl di Perugia che staccavano il telefono per dormire durante il turno notturno, ai tecnici della Soprintendenza ai beni culturali che autorizzavano il pagamento di lavori mai fatti. Malcostume, furberie ma anche comportamenti altrettanto censurabili in chi deve amministrare le finanze pubbliche quali la gestione dei Boc o il ricorso degli enti locali a cosiddetti “derivati”. Senza entrare in spiegazioni tecniche per addetti ai lavori, l’utilizzo di questi strumenti non comporta arricchimenti illeciti personali degli amministratori pubblici, ma un uso improprio – o rischioso, come nel caso dei “derivati” – dei soldi della collettività. La stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici – ha detto ai giornalisti Chiappiniello – con stipendi più che modesti lavorano molto e “con onestà e correttezza”. I furbi, i disonesti, qualche volta vengono smascherati ma non sempre puniti perché – ha detto invece Principato – uno “stillicidio di norme, episodiche e non coordinate frenano” e rendono “più difficile” l’azione giudiziaria. Servirebbe invece “uno stabile sistema di regole che dia certezza agli amministratori pubblici sui limiti dei loro poteri gestionali e altrettanta certezza alle regole del processo”. L’azione giudiziaria “appare insicura” – ha spiegato – per le tante norme che si accavallano in modo disordinato con “incertezze, dubbi ed appesantimenti processuali”. Manca insomma quella “certezza del diritto da cui soltanto può conseguire un giusto processo”. Sono gli stessi concetti ribaditi anche dal presidente della corte d’Appello Wladimiro De Nunzio nella relazione sull’amministrazione della giustizia penale e civile in Umbria letta per l’apertura dell’anno giudiziario: “La certezza del diritto – aveva detto – appare spesso una mera petizione di principio, e la fiducia dei cittadini e delle imprese nella tutela giudiziaria rischia di affievolirisi sempre di più”. Anche con la “più deleteria delle riforme attuate per regolarizzare il funzionamento della giustizia penale”, quella della riduzione dei termini di prescrizione dei reati, aveva detto nella stessa occasione il procuratore generale Giancarlo Costagliola. Una scelta del legislatore – sono sempre le parole del procuratore – che ha “definitivamente affossato il sistema giudiziario penale, impedendogli di dare risposte soprattutto alle vittime dei reati alle quali la prescrizione, nella maggior parte dei casi, ha negato il diritto ad avere giustizia”. Un messaggio chiaro ed ancora inascoltato di quanti sono giornalmente in prima linea sui veri problemi del malfunzionamento del sistema giudiziario italiano. Le tante volte annunciate riforme della giustizia ne terranno conto?

AUTORE: Enzo Ferrini