Cono sicuro che molti diranno che un giornale dovrebbe raccontare cose nuove e, come si dice, stare sulla notizia e non ripetere cose vecchie di secoli o millenni come quella riportata nel titolo. Eppure c’è sempre qualcosa di nuovo da dire. Ad esempio, non tutti sanno che questo precetto che per i cattolici è detto il quarto comandamento, per gli ebrei è “la quinta parola”, delle “dieci parole” che conosciamo come i dieci comandamenti o decalogo. Non cambia molto. Eppure un nostro conoscente, di altra confessione cristiana, ci ha rimproverato perché nel formulare un invito abbiamo scritto “quarto comandamento”, come nel catechismo cattolico e ciò gli è suonato come una prevaricazione cattolica. Quando si dice dei fondamentalismi! Non facciamo polemiche. L’importanza dei comandamenti è data dalla loro osservanza e non dalla numerazione che è assicurata: sono sempre dieci, per ebrei, protestanti, cattolici e ortodossi. Una diversità, invero, c’è riguardo all’osservanza del sabato che i cristiani hanno sostituito con la domenica, giorno del Signore e della sua risurrezione formulando la dicitura: “ricordati di santificare le feste”. Qui il discorso si farebbe lungo, ma non sarebbe inopportuno, perché i comandamenti sono la legge fondamentale dell’umanità che da sola potrebbe consentire l’ordine e la pace nel mondo.Per ora ritorniamo alla “quinta parola”, scelta quest’anno per la “Giornata dell’Ebraismo”, dedicata dalla Chiesa italiana alla riflessione sulla religione e la cultura ebraica. Pochi, al di fuori della comunità cattolica, conoscono l’iniziativa della Chiesa italiana iniziata fin dal 1990. Il tema si è scelto di comune accordo e segue il criterio di affrontare ogni anno come oggetto di riflessione un comandamento, presentato alle comunità cattoliche e ebraiche con un commento sottoscritto dal rabbino presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia, Rav Elia Richetti e dal presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo mons. Mansueto Bianchi. Questa giornata è stata fissata al giorno 17 gennaio, vigilia dell’inizio della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, prospettando con questa scelta la connessione dell’impegno sacro per ebrei e cristiani di costruire un mondo unito e pacifico nel rispetto della suprema legge di Dio.Il prossimo 27 gennaio si celebra la “Giornata della memoria”, scaturita da una legge dello Stato italiano, la 211/ 2000. La diversità tra questa Giornata della memoria, che ha risonanze anche politiche, e quella del 17 gennaio esclusivamente religiosa è evidente. L’una non esclude l’altra. Sarebbe però bene non emarginare – cosa che avviene nelle scuole – né le altre vittime del nazismo, quale la strage dei Rom ricordata da Impagliazzo all’Università per stranieri di Perugia (vedi art. p.12), né la forte carica etica dei comandamenti da noi ereditati dagli ebrei, che, anche per questo, Benedetto XVI ha detto di non chiamare più “Fratelli maggiori”, ma “Padri nella fede”.Penso che in questo strano momento dell’Italia impazzita e umiliata, non ci sia cosa migliore da fare che riprendere in mano i comandamenti di Dio.
“Onora tuo padre e tua madre”
Editoriale
AUTORE:
Elio Bromuri