Il canto di ingresso che apre la liturgia della quarta domenica d’Avvento è un prestito dal libro del profeta Isaia (45,8), che canta la sorpresa del popolo dinanzi al Dio di Israele che opera meraviglie inaspettate: ha scelto uno straniero, un pagano, Ciro, per realizzare quel fatto incredibile che fu la liberazione dalla schiavitù babilonese, ormai ritenuta impossibile. La tradizione liturgica della Chiesa latina lo ha assunto come un’invocazione cosmica, liricamente tesa ad affrettare la comparsa del Salvatore, che aspettiamo come rugiada ristoratrice e tenero frutto della terra. Gli antichi Padri della Chiesa hanno visto in Ciro una lontana allusione profetica a Gesù, il Messia liberatore, che abbiamo atteso pazientemente lungo tutto l’Avvento, senza saperne, per un po’, nemmeno il nome. Solo la scorsa domenica ci è stato rivelato: Gesù.
Oggi Egli ci appare nella sua concretezza storica: Matteo ci informa infatti che, come ogni altro uomo, ha una madre, Maria; ha un padre adottivo, Giuseppe, che appartiene alla casata di Davide. Siamo informati anche di un problema di coppia di quando i suoi genitori erano ancora fidanzati (Mt 1,18); problema che Dio si preoccupò di risolvere con la mediazione di un angelo. Ma dalla liturgia veniamo pure a sapere che Gesù non è solo un lontano discendente del re Davide, ma anche Figlio di Dio (Rm 1,4) e che di Lui aveva oscuramente parlato il profeta alcuni secoli prima, dicendo che si sarebbe chiamato Immanu-El, cioè Con-noi-(è)-Dio. Come ogni domenica, anche oggi il vertice della liturgia è il Vangelo, che è scandito in tre gruppi di versetti: 18-19; 20-21; 22-24.
Il primo gruppo presenta la madre di Gesù e il suo fidanzato, profondamente ferito e angosciato, per averla trovata incinta; avrebbe potuto denunciarla pubblicamente come adultera, esponendola alla lapidazione; ma siccome è un “giusto”, si limita a volerla rimandare a casa di suo padre. Il secondo gruppo di versetti si interessa solo di Giuseppe, che troviamo pensoso sul da farsi. Non è difficile immaginarne il dolore e la lotta interiore, come sa chiunque abbia sperimentato il tradimento da parte della persona amata. Ma proprio nel mezzo di quel dramma gli arriva la Notizia che cambiò per sempre la sua vita: non solo Maria non lo ha tradito, ma è stata coperta dall’ala misteriosa dello Spirito di Dio, che ha generato in lei il Figlio del Santo Benedetto. Giuseppe ne sarà legalmente il padre, e perciò avrà il diritto/dovere di imporre il nome al nascituro. Lo stesso angelo annunciatore glielo indica: Gesù, che vuol dire “il Signore salva”.
Il bambino avrà così anche un cognome: figlio di Giuseppe. Nel terzo gruppo di versetti, l’evangelista ci informa che si stava così compiendo l’antica profezia, ancora di Isaia, che parlava di una vergine che avrebbe partorito il Dio-con-noi. Il versetto 24 infine dà testimonianza alla fede di Giuseppe. Il suo non era forse stato un sogno? I sogni, si sa, sono sogni; sono prodotti dalle nostre paure, dalle frustrazioni, dai desideri… ma la realtà è un’altra cosa. Chi di noi non avrebbe dubitato? Ma quando Dio ti tocca, sai che quella è la verità, anche ti se arriva per una via inattesa. Giuseppe era stato anche lui sfiorato dal mistero di Dio e non ebbe più dubbi. Al risveglio la decisione è già presa: andrà a vivere con Maria. La gente dirà che si porta a casa un’adultera, ma il tocco di Dio è più potente del consenso sociale.
La profezia della vergine/sposa feconda domina questa domenica prenatalizia. Essa nacque in un momento storico molto pericoloso per Gerusalemme (VIII sec. a.C.). Una coalizione di eserciti era alle porte del regno di Giudea, e metteva in pericolo la stabilità di quel regno che era stato di Davide e che ora era di Achaz. La Bibbia riferisce che, quando ne arrivò la notizia in città, il cuore del re e quello del suo popolo si agitarono come si agitano gli alberi della foresta per il vento (Is 7,2). Fu in quella occasione che Isaia si fece incontro al re e lo esortò a rimanere tranquillo, perché la dinastia davidica non correva pericolo. Dio era con Gerusalemme. E concludeva: “Ma se non crederete, non resterete saldi”.
E, come previsto, Achaz non credette. Allora il profeta gli andò incontro di nuovo e lo invitò a chiedere un segno, come pareva a lui, a testimonianza della presenza attiva di Dio. Il re si rifiutò. Allora Dio gli fece sapere che avrebbe dato Lui stesso un segno: una giovane figlia di Israele avrebbe generato un figlio e lo avrebbe chiamato Immanu-El cioè Con-noi-(è)-Dio. Fin dalla prima generazione, i cristiani hanno visto in questa giovane figlia di Israele, Maria, la vergine/sposa feconda. L’immagine del cuore del re Achaz e del suo popolo, alberi agitati dal vento, parla efficacemente di tutti coloro, che scossi dalle proprie paure, non credono alla presenza di Dio nella storia. La figura di Giuseppe dolorante, tranquillo e credente, è invece immagine di tutti quelli che attendono in silenzio la venuta del Signore.