L’invito ripetuto a rallegrarsi forma come l’ouverture di questa terza domenica d’Avvento, tradizionalmente detta “domenica in Gaudete”. “Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto: rallegratevi” (Fil 4,4): così si apre la liturgia, e così scriveva Paolo apostolo ai cristiani di Filippi, motivando l’invito con l’annuncio della incredibile novità cristiana: il Signore si è fatto vicino a voi in Gesù Cristo. Dio si è fatto vicino a tutti noi. Il motivo dell’allegria si amplia liricamente nella prima lettura: perfino il deserto, la terra arida, la steppa… sono chiamati dal profeta Isaia a rallegrarsi, assicurando che fioriranno splendidamente come i monti del Libano, come le pendici del Carmelo o la pianura di Saron (Is 35,1-2). Agli impauriti della vita egli grida: “Coraggio! Niente paura. Ecco, Dio è innanzi a voi, Egli viene a salvarvi. Salverà i ciechi, salverà i sordi, i muti, gli storpi.
La massa dei diseredati diverrà un’assemblea di uomini e donne che non conosceranno più tristezza e pianto, perché ormai Dio ha aperto una strada dove ognuno potrà cantare la propria felicità” (vv. 3-10).Nel Salmo responsoriale l’assemblea risponde all’annuncio profetico proclamando che il Signore è veramente colui che libera i prigionieri, che ridona la vista ai ciechi, che rialza chi è caduto… perché Lui è fedele per sempre. Poi la liturgia introduce un secondo motivo caratteristico dell’Avvento: la pazienza. L’apostolo Giacomo raccomanda ai cristiani di pazientare fino alla venuta del Signore, a somiglianza del contadino che sa bene aspettare le piogge di fine settembre prima di seminare, e quelle di fine marzo prima di raccogliere il frutto della semina. E che stiano di buon animo, perché il Signore certamente verrà, secondo la testimonianza dei profeti, che per tutta la loro vita lo hanno atteso con perseverante pazienza.
Il brano evangelico – diviso in due parti (2-6 e 7-10) – si apre con la figura di Giovanni il battezzatore, che troviamo in carcere, dove era stato rinchiuso da Erode Antipa, il quale non ne tollerava la coraggiosa predicazione (Mt 14,3-4). La scorsa domenica Giovanni era il protagonista indiscusso della liturgia, mentre del Messia annunciato non conoscevamo neppure il nome. Oggi il Messia non solo ha un nome proprio, Gesù, ma già occupa prepotentemente la scena, mentre Giovanni è prossimo a scomparire (Mt 14,6-11). Allora Giovanni parlava del Messia venturo, oggi è Gesù che parla di Giovanni, come del più grande tra i profeti antichi.
Ma prima di andare verso il suo destino di morte, il Battezzatore imprigionato trova il modo di inviare una delegazione di discepoli a Gesù, latori di una domanda imbarazzante: “Sei proprio tu il Messia atteso da secoli in Israele?”. Strana domanda da parte di chi lo aveva indicato come “l’Agnello di Dio volontariamente carico di tutti i mali del mondo” (Gv 1,29) e come il giudice inflessibile che avrebbe purificato Israele con il fuoco e senza pietà avrebbe separato il grano dalla pula (Mt 1,11-12). Realmente il modo di essere e di fare di Gesù, la sua dolcezza, l’amicizia con i peccatori, presso cui banchettava, sembravano così diversi dalla visione del Messia corrente in Israele, che perfino il Battezzatore dubitò. Gesù rispose invitando a guardare i fatti: essi dicevano chiaramente che le antiche profezie si stanno compiendo.
Le stesse profezie che abbiamo sentito risuonare nella prima lettura: i ciechi vedono, i sordi odono; si aggiunge la guarigione dei lebbrosi, la risurrezione dei morti e una buona notizia per i poveri (Is 61,1). Ma non tutti hanno occhi per riconoscere e comprendere, anzi alcuni inciampano e cadono, non potendo accettare che siano messi in discussione i consolidati schemi sulla figura di un Messia potente e trionfatore sul campo. Gesù concludeva affermando che è beato chi non inciampa sulla novità. Partiti i delegati, Gesù comincia a parlare alla gente di Giovanni, al quale dà una altissima testimonianza. Egli non è né una banderuola esposta a tutti i venti, né un rammollito e nemmeno uno qualsiasi dei profeti, ma colui che Dio ha posto sulla soglia dei tempi dell’adempimento delle profezie, destinato a preparare la strada al Messia. Giovanni è il precursore.
Tuttavia, nonostante tutto, egli è ancora solo uno tra “i nati da donna”, vale a dire “semplicemente uomo”. Di essi è certamente il più grande; tuttavia “i piccoli”, cioè i discepoli, che non sono nati da carne e sangue, ma dal volere di Dio (Gv 1,13), sono più grandi di lui. I ritmi della liturgia di oggi svolgono una catechesi integrale. Essa si apre infatti con l’invito a rallegrarsi, preso dalla Lettera ai Filippesi, che poi abbiamo visto svilupparsi liricamente nella profezia di Isaia. L’abbiamo ascoltata poi mentre procedeva in un crescendo fino al lieto annuncio del Dio presente e concretamente operante nella storia. Ma i ritmi della storia sono lenti e faticosi; essi esigono pazienza e costanza nella prova, come ammoniva il concretissimo apostolo Giacomo. E la storia, nella quale si realizzano le profezie, è anche piena di contraddizioni e pone domande, che mettono in crisi alcune certezze consolidate, come è avvenuto con Giovanni. I fatti poi si incaricano di indicare da che parte cercare la Verità. Questa è anche la storia di ogni credente adulto nella fede.