La Parola di Dio non è incatenata

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Giuseppe Chiaretti XXVIII Domenica del tempo ordinario - anno C

Il senso globale delle tre letture è la gratitudine a Dio per i suoi interventi nella nostra vita al fine di guarirci dai nostri mali: sono mali fisici, come la lebbra da cui sono colpiti Naamàn, generale del re di Aràm, e altri dieci anonimi infelici di Samaria; e sono mali morali, quali la cecità interiore che portava al rifiuto di Gesù e alla persecuzione dei credenti in lui, come avvenne per Saulo-Paolo. Il dono di Dio è gratuito, come sempre, ma questo non vuol dire che non dobbiamo avere la consapevolezza del dono ed imparare a dire il nostro “grazie”. L’esperienza ci costringe a dire che la riconoscenza non è un fiore che attecchisce e sboccia abitualmente nei nostri giardini: la raggela la nostra presunzione. Nei dieci lebbrosi che Gesù guarì “appena li vide”, uno solo tornò a ringraziare “a gran voce”, prostrandosi ai piedi di Gesù.

L’evangelista Luca avverte che “era un samaritano”, e cioè uno straniero, considerato nemico dai giudei; così come “samaritano” era il viandante che sulla via di Gerico si fermò a raccogliere e a dare aiuto decisivo al giudeo che era incappato nei briganti, i quali “gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e lo lasciarono mezzo morto” (Lc 10,30). È evidente il taglio “provocatorio” di questa sottolineatura, che si ritrova anche nel caso di Naaman il Siro, il quale, non riuscendo a gratificare di doni il profeta Eliseo per la guarigione ottenuta, chiede di portar via almeno un carico di terra santificata dalla presenza del Signore per compiervi i suoi atti di culto al Dio che lo ha guarito. All’invito, tante volte ripetuto nei riti liturgici: “Rendiamo grazie al Signore nostro Dio!”, dobbiamo ripetere con entusiasmo il nostro “grazie”: “È veramente cosa buona e giusta!”.

È assai interessante anche l’ultima lettera che Paolo, ormai prossimo al martirio, scrive dalla prigionia al suo discepolo prediletto Timoteo. Il suo corpo è in catene nelle carceri romane, ma la Parola di Dio non è incatenata e circola liberamente anche nell’oscurità del carcere, oltrepassando le porte di ferro e le spesse mura. La Parola di Dio è sempre libera di correre per le vie del mondo, se i cristiani sanno renderla evidente con la loro vita e la loro dedizione alla causa di Cristo, facendosi ovunque messaggeri di verità e di pace. Se non parlano le persone, parla infatti la vita, e in particolar modo parlano le catene. Ma la Parola di Dio non può essere incatenata, e quindi può essere annunciata comunque e sempre, “al momento opportuno e non opportuno, ammonendo, rimproverando, esortando con ogni magnanimità e insegnamento”. E Paolo profetizza al riguardo: “Verrà giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole” (2 Tim 4,2-3).

Babele è sempre in agguato: anche oggi! Magie, satanismi, esoterismi, ricerche del sensazionale stanno a dimostrarlo! Fino a qualche tempo fa in Occidente dominavano le ideologie, anche perverse, con il loro apparato organizzativo. Oggi, crollate le ideologie, viviamo in un contesto fatto di libertà libertaria e qualunquistica, di soggettivismo e di relativismo, dove la ricerca del vero, del buono, del giusto è sempre più fragile e contestata. Anche all’interno della Chiesa si svelano zone di fragilità sia morale che di relativizzazione della verità, da adattare alle condizioni storiche e psicologiche.

Forse stiamo vivendo anche noi quel “giorno” di cui parla Paolo… La risposta non può che essere “l’ascolto alla verità” che la Chiesa, madre e maestra, puntualmente ci trasmette con fedeltà a Cristo e con occhio profetico proprio di colei che ha “occhi verso il passato e verso il futuro” (Gregorio Magno). Paolo si congeda dal discepolo invitandolo ad imitarlo non solo nella sofferenza, ma anche nell’impegno a tempo pieno nel servizio pastorale, esemplificandolo con tre tipi di persone impegnate a tempo pieno: il soldato, l’atleta, il contadino. E lo esorta con parole confidenziali, ma anche decise: “Cerca di capire quello che dico, e il Signore ci aiuterà a comprendere ogni cosa”.

AUTORE: Giuseppe Chiaretti