Nel “dialogo strutturato” tra Chiese e istituzioni europee i passi sono ancora molto misurati e qualche volta incerti, tuttavia qualcosa si muove. Un piccolo segnale viene dal “seminario di dialogo” sull’Anno europeo di lotta alla povertà e all’esclusione sociale tenutosi il 9 luglio a palazzo Berlaymont in Bruxelles per iniziativa di due organismi ecclesiali europei – Comece (Commissione degli episcopati della comunità europea) e commissione Chiesa e società (CsC) della Conferenza delle Chiese europee (Kek) – e della Commissione europea rappresentata dal commissario per il Lavoro, gli affari sociali e l’inclusione, László Andor. Un altro, sullo stesso tema e certamente più impegnativo, c’è stato il 19 luglio quando si sono incontrati i rappresentanti delle Chiese cristiane e di altre religioni con le più alte cariche delle istituzioni Ue. Di fronte a 80 milioni di poveri, di cui 10 milioni sono bambini, le Chiese e le istituzioni si stanno incontrando per definire una prospettiva che, nel rispetto delle diverse identità e ruoli, sia in grado di offrire risposte efficaci in un tempo attraversato da crisi che non sono solo di ordine economico e finanziario. Sono, questi incontri, prove di maturità europea, momenti di confronto in cui prevale quella laicità positiva che nulla toglie alle parti in dialogo ma sostanzia lo sforzo di costruire un’Europa più decisa e visibile nelle sue scelte di giustizia e di solidarietà. Le Chiese cristiane hanno un’occasione per rendere palese la loro sensibilità sociale sia nella direzione dell’operosità sia in quella della riflessione e della cultura. Si presentano, le Chiese, non solo come realtà attente e attive di fronte ai bisogni dei più fragili ma come soggetti che, proprio per questa esperienza concreta sul territorio, sono portatori anche di un pensare politico senza frontiere ideologiche e senza interesse di parte. Le Chiese – è l’immagine che si ricava attraversando l’Europa – non sono “barelliere della storia” come qualcuno forse vorrebbe. Il loro andare in aiuto ai più deboli è sempre unito alla richiesta e alla proposta di politiche che siano nel segno della promozione della dignità di ogni persona e di ogni comunità, piccola o grande che sia. Per le istituzioni il respiro europeo delle Chiese, che è sempre parte di un respiro universale, offre l’occasione e lo stimolo a trovare motivi e coraggio per guardare oltre gli steccati dei nazionalismi e osare una politica comune lungimirante all’interno e all’esterno. È una risposta alla vocazione che i Padri pensarono per l’Europa e trasformarono in quella grande avventura di pace e sviluppo che anche oggi è nel mondo un riferimento di responsabilità e speranza. Sono i gesti di fiducia a rendere stabile e fecondo il “dialogo strutturato” togliendolo dalla logica della lobby, rischio che le Chiese cristiane europee per prime non intendono correre e per prime segnalano alle istituzioni come strada sbagliata per coinvolgerle nello sviluppo sociale e culturale dell’Europa. L’Anno europeo di lotta alla povertà e all’esclusione sociale, giunto a metà percorso, si colloca nel contesto di Europa 2020 con l’obiettivo della riduzione del 25% della povertà: si tratta di risultati da raggiungere perché l’Ue ritrovi le ragioni più vere del suo essere casa comune. A guidare le scelte verso queste mete è il realismo di chi non chiude gli occhi di fronte ai passi incompiuti ma neppure li chiude di fronte a quelli compiuti. Le Chiese vi aggiungono il messaggio della speranza. Dicono che l’ottimismo cristiano, soprattutto in tempo di difficoltà, non è un allegro fischiettare al buio ma è assunzione di competenza e responsabilità. È condivisione di quella idea di laicità positiva che istituzioni e Chiese, nella distinzione dei ruoli, sono chiamate a rendere visibile ed efficace con sempre maggior convinzione: per fedeltà all’Europa, a coloro che la abitano oggi e la abiteranno domani. In Europa 80 milioni di persone vivono in condizioni di povertà I poveri in Europa sono, stando ai dati ufficiali dell’Ue, circa 80 milioni, pari al 16-17% dell’intera popolazione comunitaria. Per “poveri” si intendono le persone, e dunque le famiglie, che vivono “alla soglia dell’indigenza”, con un reddito troppo modesto – in base al costo della vita, che varia da Paese a Paese – per assicurarsi beni materiali, una casa dignitosa, istruzione, cure sanitarie, opportunità professionali e sociali. La povertà è spesso presente nei Paesi in via di sviluppo in cui la malnutrizione, la fame e la mancanza d’acqua potabile rappresentano la grande sfida per la sopravvivenza quotidiana.
Miglioriamo la casa comune
Incontri tra Chiese cristiane e istituzioni sul tema della povertà in Europa
AUTORE:
Paolo Bustaffa