Il micidiale sistema dei subappalti

EDILIZIA. I problemi persistenti del comparto in Umbria, soprattutto sul fattore sicurezza

Con il brusco ridimensionamento dell’occupazione diminuiscono anche gli incidenti nei luoghi di lavoro, mortali e non. Ma i problemi restano sempre gli stessi. “La vera questione”, afferma uno dei responsabili Cisl per la sicurezza territoriale del settore edile, Mario Paolini, “è che gli imprenditori restano disinteressati al tema. I loro rappresentanti aziendali, che dovrebbero occuparsi della sicurezza dei lavoratori, il più delle volte sono legati a doppio filo ad essi, spesso sono parenti o affini. E quindi…”. Poi c’è il grande problema del subappalto e dei piccoli cantieri, quest’ultimi i più pericolosi. Nel resto d’Europa subappaltare non è un problema, ma in Italia sì. “Da noi – continua il sindacalista cislino – è un vero e proprio sistema di costruzione. Una ditta edile, a causa del diffusissimo sistema del massimo ribasso, è costretta a prendere il lavoro ‘allo strozzo’ e poi lo subappalta: sullo scarso importo dei lavori devono guadagnarci in due, e ciò va a tutto discapito della sicurezza, la prima cosa a cui si rinuncia”. Secondo Paolini, il modo più sbagliato è quello di parlare di sicurezza solo in occasione di grandi disgrazie. “Gli ultimi incidenti sul lavoro avvenuti in Umbria rimettono nell’agenda politica la questione del diritto alla vita e alla salute sul posto di lavoro. Che non può, né deve essere trattata semplicemente con articoli-spot o scandalistici: va fatto, invece, un lavoro quotidiano per far comprendere all’impresa e ai lavoratori quanto sia sbagliato morire nel compiere la propria mansione”. È da tempo che i Rappresentanti sindacali dei lavoratori per la sicurezza sul territorio (Rlst) chiedono di poter interagire con i preposti alla sicurezza nei cantieri edili, per scongiurare ulteriori morti bianche e infortuni. Finora tale richiesta è caduta nel vuoto. Intanto, mentre l’attenzione sugli incidenti sul lavoro resta alta, per il secondo anno consecutivo, continua a peggiorare l’occupazione in provincia di Perugia. Alla fine del 2010 saranno 2 mila i posti di lavoro persi, conseguenza delle 9 mila fuoriuscite dal mercato del lavoro, non compensate dalle 7 mila assunzioni operate. Questo secondo i dati dell’ultima indagine nazionale Excelsior, realizzata da Unioncamere in collaborazione con il ministero del Lavoro, basati sulle interviste a 100 mila imprese per rilevarne i programmi di assunzione. Nella provincia di Perugia, le interviste sono state effettuate in circa 1.500 imprese. “Sapevamo che anche nel 2010 la crisi, seppur mitigata dai primi segnali di ripresa, avrebbe prodotto un nuovo ridimensionamento dei livelli occupazionali, ma francamente speravamo in un risultato meno negativo”, scrive in una nota il presidente della Camera di commercio di Perugia, Giorgio Mencaroni. “Se ripresa c’è – continua -, non è abbastanza incisiva per riattivare le dinamiche occupazionali e creare nuovo lavoro”. Nell’industria si vive la situazione più critica, con un saldo negativo del meno 2,7 per cento. Negativi anche i servizi (- 0,9 per cento complessivo), all’interno dei quali il turismo sconta flessioni pari a meno 2,6 per cento. Gli infortuni in UmbriaSecondo gli ultimi dati pubblicati il 20 luglio scorso dall’Inail, nel 2009 gli incidenti denunciati sono stati 15.285 contro i 17.101 dell’anno precedente (-10.6%). Tullio Gualtieri, direttore regionale Inail Umbria, faceva notare – in un comunicato – che “l’anno trascorso è stato particolarmente negativo per l’economia italiana (e di conseguenza per quella umbra), sia sul versante dell’occupazione che su quello della produzione industriale, e ciò automaticamente si è tradotto in una flessione dell’esposizione al rischio di infortunio, ma è anche vero che tale congiuntura sfavorevole ha inciso solo in parte (per un terzo, secondo recenti studi e proiezioni statistiche) nel livello di contrazione degli infortuni: l’altra quota è indubbiamente da imputare alle azioni di sensibilizzazione e di prevenzione portate avanti in questi anni dalle istituzioni, dalle parti sociali e da tutti gli attori del sistema sicurezza”. A livello regionale, gli infortuni sono così ripartiti tra le diverse gestioni: in industria, dove si è verificato il calo più consistente, sono stati denunciati 13.009 infortuni (-12% rispetto al 2008), in agricoltura 1.664 (-1%) e nel conto stato 612 (-3.8%). Anche per quel che concerne gli infortuni occorsi a stranieri, dopo gli aumenti registrati negli ultimi due anni, si è assistito ad un inversione di tendenza: dai 3.262 casi del 2008 si è scesi ai 2.639 del 2009 (-19.1%). Unico neo quello riferito ai casi mortali: si è purtroppo interrotto il trend in continua e costante diminuzione degli ultimi 4 anni. Nel 2009, infatti, le morti bianche sono salite a 17 contro le 16 dell’anno precedente (+6.3%). Stabile invece il dato riferito alle morti straniere: 3 i casi nel 2009, come quelli avvenuti nel 2008. Calano anche gli infortuni sul lavoro in itinere, ossia quelli che si verificano nel tragitto casa-luogo di lavoro e viceversa: 1.431 gli incidenti denunciati in Umbria nel 2009 contro i 1.497 del 2008 (-4.4%). Stabile invece il dato riferito ai casi mortali in itinere: 3 quelli del 2009 come quelli del 2008. Stesso trend anche per gli infortuni sul lavoro stradali, ossia quelli che si verificano nella pubblica via e causati da circolazione stradale (indipendentemente dal fatto che si tratti di infortunio occorso nell’esercizio di un attività lavorativa o in itinere): a livello regionale 1.992 sono stati gli infortuni lavorativi avvenuti sulla strada nel 2009 contro i 2.201 del 2008 (-9.5%). Lieve crescita invece per i casi mortali stradali: dai 5 del 2008 siamo saliti ai 6 del 2009. Per quanto concerne il fenomeno delle malattie professionali, si assiste ad un loro incremento: a livello regionale le tecnopatie sono infatti aumentate del 7.4%, passando dalle 1.179 del 2008 alle 1.266 del 2009. La stragrande maggioranza di esse viene denunciata nella gestione industria e servizi (circa il 91%), la restante parte in agricoltura (circa il 7%) e tra i dipendenti dello stato (circa il 2%).

AUTORE: Paolo Giovannelli