Prete, non funzionario

parola di vescovo

Già san Gregorio di Nissa descriveva il presbitero come una persona che è tenuta a pensare, a parlare e ad agire con la mente e il cuore rivolti a Cristo. È uno che è tutto per Cristo, per la Chiesa, per i fratelli. Scelto tra i comuni mortali per comunicare la Parola di Dio, per donare i sacramenti e per sostenere e guidare i fratelli nella fede, al presbitero non rimane altra via che vivere da “donato”: sta qui la sua specificità e la sua diversità. Guai a lui se dovesse diventare un semplice funzionario o un umile operaio del sacro. È tenuto a far sue le parole del Salmo 16: “Solo in te è il mio bene… Il Signore è la mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita”. La mediocrità è il pericolo maggiore in cui può incorrere! L’Anno sacerdotale, che il Papa ha sapientemente voluto guardando all’umile e straordinaria figura del santo Curato d’Ars, non è concluso, è appena iniziato e naturalmente continua. Oggi il prete nel suo ministero incontra notevoli difficoltà. I sacerdoti, per molteplici ragioni, sono diminuiti di numero, alcuni di loro sono avanti negli anni, mentre è diventato più complesso e articolato il loro servizio pastorale. Devono preoccuparsi di molte cose e talvolta attendere alla cura di più comunità cristiane. C’è una cultura che esalta l’autorealizzazione, con cui abilmente si alimenta l’egoismo e il narcisismo; i diritti individuali prevalgono su quelli collettivi; la libertà è rivendicata al di là e al di fuori di ogni norma morale; la famiglia è vilipesa e umiliata; i giovani sono travolti e usati; gli agenti educativi lamentano di avere un compito ogni giorno più difficile. Tuttavia non c’è spazio per lo scoraggiamento, è anzi il tempo del recupero. Il prete è tenuto a non conformarsi al mondo secolare, deve anzi trovare il tempo necessario per la preghiera, per la riflessione e per vivere momenti di autentica fraternità e condivisione. Mi vengono in mente le parole che Paolo VI disse a Manila nel lontano 1970: “Io sono apostolo, io sono testimone. Quanto più è lontana la meta, quanto più difficile è la mia missione, tanto più urgente è l’amore che a ciò mi spinge”. Ovviamente alcune cose vanno riviste. Non si può far tutto. Occorre eliminare non poche scorie e concentrarsi sulle cose essenziali. Servono a poco le pompe, i titoli, i paludamenti, le infinite e spesso inutili riunioni, le manifestazioni esteriori. A fondamento di tutto c’è l’eucaristia, espressione dell’amore che vince e non si arrende, “ostia viva, santa, accettata” (Rom 12,1), fonte primaria di umanità e di spiritualità. Il bene più prezioso è la famiglia e ciò che si fa per essa vale più di ogni altra cosa. I giovani hanno un percorso tormentato e nuovo, ma sono alla ricerca di proposte serie e concrete e desiderano autenticità e verità. I poveri, gli ammalati, i sofferenti sono il tesoro prezioso che Dio abbia affidato alla Chiesa, e per essi occorre fare tutto il possibile. Poiché a vincere saranno la qualità e l’essenzialità, mi appaiono questi i settori in cui bisogna agire con maggiore coraggio e lungimiranza. Il Papa ha detto recentemente: “Occorre unirci a Dio che è noi e che è nei fratelli… fino a saper perdere Dio in noi per scoprire e accogliere Dio negli altri”: non è affatto un paradosso!

AUTORE: † Sergio Goretti