Pace, desiderio infinito

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Giuseppe Chiaretti XIV Domenica del tempo ordinario - anno C

Il Vangelo, che è per sua natura “ buona notizia”, si apre con la parola pace (la cantò e l’eseguì il coro e l’orchestra del paradiso nella notte in cui nacque Gesù) e si chiude con la parola pace (“Padre, perdonali: non sanno quello che fanno!”). Questa promessa di pace era già nelle parole del profeta Isaia, ed è già nelle parole egualmente profetiche dell’Apocalisse: “Nella città di Dio non vi sarà più maledizione. Maranathà! Vieni, Signore Gesù!” (22,3-20). In Isaia la pace, e la gioia che ne deriva, è indicata con immagini che sanno di tenerezza, di affetto, di freschezza, di prosperità. Per un popolo di esuli, la fonte di tanta consolazione è Gerusalemme ritrovata, chiamata a essere una madre che dà il latte al suo bambino e lo fa crescere in un contesto di affetto e di pace. Per i cristiani questa madre è la Chiesa, fecondata dallo Spirito consolatore, dolce ospite dell’animo, dolce sollievo. In questo contesto, la guerra con i suoi turbamenti è lontana le mille miglia, è una autentica bestemmia.

È questo mondo di pace, però, che dovremmo promuovere e custodire, per poi riceverlo in dono plenario e definitivo nel Regno. Nel Salmo 65 a condividere questo clima di gioia è chiamato tutto il mondo. Paolo incalza ulteriormente: “Dio ha riconciliato il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione” (2 Cor 5,19). La profezia d’un mondo in pace, però, non è un idillio per fidanzati: è il risultato di un lavoro che sa di croce, per fare di noi una nuova creazione. Paolo lo ha detto con estrema chiarezza, quasi con durezza, tanto è forte la sua passione per Cristo: “Il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo… D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo”. A cosa alluda di preciso con queste “stigmate” non è dato sapere, ma certo non si tratta di semplice metafora: sono la contestazioni violente alla sua predicazione da parte dei nemici della croce. Non a caso l’ultima parola di Gesù sulla pace (“Perdonali, Padre…”) è detta in uno scenario di assassinio e di tortura d’un Giusto semplicemente raccapricciante. E tuttavia proprio quella croce è per noi fonte d’ogni consolazione, in quanto è “croce gloriosa del Signore risorto, albero della nostra salvezza: in essa mi rifugio, di essa mi diletto”.

È una lezione senza misure, che va però alla radice dei problemi e non si ferma solo ad accarezzarli. Anche questo è “martirio”, pur senza spargimento di sangue. Il Vangelo non sarebbe completo se non leggessimo anche la pagina della passione di colui che chiamiamo “Signore” e riconosciamo come il Figlio di Dio. In ogni caso è lo Spirito santo di Dio che, come buon pedagogo e come forza di Dio, ci aiuta nel nostro cammino. Il Vangelo di Gesù che ha parlato di pace va in ogni caso annunciato di casa in casa, da persona a persona. Fu Gesù stesso a scegliere, oltre ai Dodici, altri settantadue discepoli perché andassero di paese in paese ad annunciare il suo arrivo: 72, come il numero delle famiglie dei figli di Noè che ripopolarono la terra dopo il Diluvio.

Il Signore li manda avanti a se stesso e agli apostoli, dando loro una missione preparatoria dell’evangelizzazione. Di Gesù non potevano ancora parlare compiutamente perché non c’era stato ancora l’evento pasquale (passione, morte, risurrezione). Però erano già in grado di parlare di lui come profeta, che dice cose di Dio come nessun altro, e fa segni miracolosi come nessun altro. E tuttavia ritornano dalla missione con un segno anch’essi: “I demoni si sottomettono a noi nel tuo nome, Signore”. Non è però di questo segno visibile che devono inorgoglirsi, ma del fatto che il loro nome di annunciatori della nuova e buona notizia, che è Gesù, “sono già scritti in cielo”: e da quell’elenco nessuno li cancellerà più.

È la paga degli operai dell’Evangelo, anche se arrivano “all’ultima ora”. Questo episodio dei settantadue discepoli mandati in avanscoperta apre il discorso dei laici oggi, tempo di nuova evangelizzazione, che è affidata soprattutto a loro, con le stesse indicazioni operative date da Gesù, che destano ancor oggi ammirazione per il loro realismo. Urge, per volontà di Gesù, che i laici vadano anch’essi ad annunciare Cristo e il suo regno.

AUTORE: Giuseppe Chiaretti