Compiuta la predicazione in Galilea, Gesù comincia la lunga marcia verso Gerusalemme, dove si concluderà la sua vita e la sua missione con la “elevazione in alto”: e sarà questa la sua “glorificazione”. Detta così, con le nude parole del Vangelo, la questione non ci è chiara: bisogna tradurre le metafore. La “elevazione in alto” è quella della croce, e tale crocifissione sarà il segno della vittoria di Cristo sul male e sulla morte; per questa vittoria Gesù è “glorificato” come visivamente indicato ancora dalla croce (trono di gloria!) e ancor più dalla risurrezione da morte. Questa è la sua Pasqua e la Pasqua di tutti noi, che nel battesimo della Veglia pasquale, dopo il combattimento della veglia e della Quaresima, siamo ammessi a far parte della famiglia di Dio come figli adottivi suoi, glorificando il Cristo che ha pagato con la vita la nostra vera libertà.
Di qui anche le sue risposte paradossali a chi vorrebbe andargli dietro, ma non è veramente e totalmente libero. Quello della libertà è un tema centrale nella proposta di Gesù. Egli è venuto ad ottenerci la vera libertà, quella dal male in tutte le sue forme, imparando a camminare per le vie dell’amore e non della soggezione o della costrizione. Ce lo ricorda in maniera quasi provocatrice l’apostolo Paolo: “Siete stati chiamati a libertà… mediante l’amore siate a servizio gli uni degli altri!”. È una “chiamata” dello Spirito, non una generica esortazione alla vita buona; qualcosa che va oltre la legge, che pure trova la sua pienezza in un precetto ben noto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Il camminare “secondo lo Spirito” porta alla filiera dell’amore, e cioè alla “gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”.
Il riferimento, però, non è più a noi stessi come misura dell’amore al prossimo (e quindi “non fate agli altri quello che non vorreste fatto a voi”); ma, dopo la Pasqua, è quello diretto all’amore stesso di Cristo: “Amatevi come io vi ho amato” (dono della vita e per-dono). E questa è specifica vocazione del cristiano e, proprio perché ardua e difficile, testimonianza evangelizzante. Queste chiamate / vocazioni a un “di più” chiedono risposte generose e decise, come l’andata di Gesù verso Gerusalemme (e quindi verso la croce), senza le condizioni che la paura o la pigrizia o un malinteso senso di convenienza possono farci porre prima di accettare, come avvenne con coloro che Gesù chiamò nella sua itineranza verso la Città santa. Vocazioni non riuscite perché troppo bloccate da ragioni umane, anche apparentemente legittime: i discepoli di Galilea, invece, risposero “subito” (Mt 1,18-20).
Così come avvenne con il profeta Elia che chiamò Eliseo gettandogli addosso il mantello. Eliseo bruciò subito gli attrezzi di lavoro e arrostì la carne dei buoi con cui lavorava distribuendola alla gente, a dimostrare l’irrevocabilità della sua scelta. E partì con Elia verso il futuro di Dio. La carità del Papa. Oggi, a ridosso della festa di san Pietro, vescovo di Roma e primo Papa, vogliamo ricordare in particolare l’attuale successore, Benedetto XVI, che si spende in maniera totale per aiutare i cristiani e l’umanità intera a ritornare all’uso della ragione in tempi di indifferenza diffusa non solo verso Dio, ma anche verso la ricerca di Dio, la verità oggettiva, i valori etici. Anche a lui giungono da ogni parte del mondo richieste di aiuti da parte dei poveri, di persone che non hanno più nessuno in cui sperare. Il Papa va quindi aiutato a sovvenire alle necessità della Chiesa con i nostri contributi. Facciamolo con generosità e gratitudine.