Non si può far finta di niente. Non si può tacere. Da due mesi e mezzo, ormai, è stato emanato il decreto che, da un giorno all’altro, senza preavviso, ha eliminato le agevolazioni postali per i giornali, i periodici e i libri, comportando per La Voce costi di spedizione più che raddoppiati. Da quel 1° aprile in cui è entrato in vigore il decreto si sono svolti alcuni incontri a Roma tra Poste italiane, Editori e Governo. Incontri che però non hanno prodotto il frutto sperato, e nessun accordo è stato raggiunto. Per la verità, il 27 aprile i rappresentanti delle Poste e di alcuni gruppi di periodici (tra cui i settimanali diocesani) avevano delineato i tratti di una possibile intesa che, rispetto alla situazione precedente, prevedeva un aumento delle tariffe di circa il 60 per cento in tre anni, a partire dal 2011. Accordo che però non si è perfezionato perché le Poste hanno fatto presente di voler prima concludere la trattativa con la Fieg (la Federazione italiana editori e giornali) che rappresenta le testate alle quali va l’80 per cento di tutte le agevolazioni postali. Inoltre è mancata anche la disponibilità del Governo a garantire almeno una parte dei fondi che finora hanno consentito di attivare le agevolazioni (rispetto ai quasi 300 milioni garantiti nel 2009, l’ipotesi di accordo prevedeva che lo Stato mettesse sul piatto 50 milioni per il 2011, 38 nel 2012 e 28 nel 2013). Ma il Governo ha fatto sapere di non voler stanziare neppure un euro, e la trattativa è saltata. Da allora il tavolo non è più stato convocato e, salvo il recupero di 30 milioni per le agevolazioni destinate a sostenere la spedizione di pubblicazioni degli enti non profit, nulla si è più mosso. Anzi, l’apertura del dibattito sulla manovra correttiva dei conti pubblici ha portato l’attenzione generale a concentrarsi su altre questioni. Di qui la necessità di riproporre con forza e chiarezza il problema, che certamente non può essere lenito o “digerito” col semplice trascorrere del tempo. Anzi! Le tariffe che sono ora in vigore stanno creando gravi difficoltà a molti giornali, mettendo anche a rischio il loro futuro. La lievitazione dei costi è di grande rilievo, e il suo peso si è rivelato ancora più schiacciante perché giunto improvviso e inaspettato, quando le campagne abbonamenti erano già concluse, quando i bilanci di previsione erano già approntati, senza che ci fosse modo per le aziende editoriali di mettere in atto alcuna strategia per assorbire il colpo. Un colpo che, se non interverrà un accordo, farà sentire la sua forza d’urto anche sulle tasche degli abbonati, che così vedranno penalizzato il loro desiderio di essere informati e di accedere a un prezzo contenuto a un mezzo di comunicazione di cui hanno fiducia. È necessario che la trattativa riparta subito, prima che l’aumento dei costi produca le sue gravi conseguenze, non solo sull’operatività dei giornali e sulla loro possibilità di giungere a destinazione, ma anche su tutto il mondo produttivo che a loro fa riferimento, dai giornalisti alle tipografie. Bisogna fare attenzione, infatti, che il risparmio sulle agevolazioni postali non si traduca poi in un costo sociale ed economico ben maggiore, oltre che nell’impoverimento di un servizio fondamentale come è quello dell’informazione. Ciò non significa che non ci si renda conto della necessità di collaborare al risanamento del bilancio pubblico anche tramite una razionalizzazione del sostegno garantito al settore dell’editoria. Ma razionalizzazione, non un colpo di spugna indifferenziato, che grava su tutti allo stesso modo, senza riconoscere la diversità esistente tra tante aziende editrici e tra tanti giornali. Non è lo stesso, infatti, che un giornale sia principalmente un veicolo pubblicitario o che invece sia voce di un territorio, specchio della sua realtà, occasione di dialogo e confronto. Non è lo stesso che un giornale venga spedito in modo anonimo e indifferenziato nelle case, magari occasionalmente per sostenere qualche campagna promozionale, o che invece raggiunga fedelmente i suoi abbonati, persone che lo apprezzano, che lo aspettano, che si fanno anche sentire in redazione se non arriva puntuale. Tagli indifferenziati che non tengono conto delle diversità delle varie realtà editoriali non hanno senso. Tanto meno se questi tagli sono totali, come è ora. La trattativa deve riprendere, e se ci sarà qualcuno che commenterà: “Anche i settimanali diocesani, come tutti, non cercano altro che difendere i loro interessi”, non sarà difficile rispondere che i settimanali diocesani non sono aziende a fini di lucro, e che la loro vera natura, la ragione più autentica che li ha fatti nascere e continua ad animarli, è di sostenere il loro territorio e i suoi abitanti; perciò, penalizzare i settimanali è penalizzare tutti i loro lettori. Anche per questo, e soprattutto per questo, la trattativa va ripresa subito e va portata avanti con la disponibilità di tutte le parti a fare qualche passo per raggiungere un punto d’equilibrio che possa essere davvero sostenibile. È anche una questione di rispetto della libertà di informazione e del suo pluralismo, valori irrinunciabili e fondamentali per la società.
Settimanali diocesani a rischio
Si è arenata la trattativa con il Governo sulle nuove, pesanti tariffe postali
AUTORE:
Elio Bromuri e Direttori periodici Fisc