Cristo vive in me!

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Giuseppe Chiaretti XI Domenica del tempo ordinario - anno C

È la prima cosa che un cristiano dovrebbe dire, come Paolo nella seconda lettura; non soltanto “sono cristiano”, ma “Cristo è in me! Cristo vive in me!”. Se ci fossero persone che, come i greci che cercavano Gesù e si rivolsero a Filippo (Gv 12,21), chiedessero a noi: “Vogliamo vedere Gesù”, noi rimarremmo piuttosto imbarazzati e forse faremmo loro un bel discorso apologetico con citazioni evangeliche, o parleremmo dell’eucarestia, segno sacramentale della sua presenza. In realtà dovremmo presentar loro la comunità dei cristiani nel suo insieme (la Chiesa), o addirittura ciascuno di noi. I Padri, infatti, amavano dire: Ego, Ecclesia: “Io sono già la Chiesa!”.

Se non abbiamo l’animo di dirlo è perché siamo testimoni inadeguati o addirittura indecorosi di questa Chiesa, che pure vive e testimonia Cristo nei suoi membri. È nel Corpo ecclesiale, infatti, animato e vivificato dallo Spirito santo, che il Signore Gesù continua a vivere ed ad agire nel tempo e nello spazio e a testimoniare la sua divinità. Molti diranno subito: ci vorrebbero allora i santi! E noi non siamo forse chiamati propri alla santità? La santità è la vita normale di grazia e non è delegabile: ognuno deve farne personalmente buona scorta, ponendosi umilmente alla scuola di Gesù e del suo Vangelo. Paolo infatti dice: “Sono stato crocifisso con Cristo… La vita che vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato ed ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). Egli infatti appartiene a Cristo, è cosa di Cristo, perché solo in Cristo Paolo ha trovato risposta alle sue ansie per i suoi peccati.

Così come trovò risposta David, il grande re scelto da Dio personalmente, ma rivelatosi poi gagliardo peccatore. Il Miserere è il canto della presa di coscienza, dinanzi al profeta Natan, del suo abominevole peccato e quindi del suo dramma, per il quale non cerca però giustificazioni, ma solo misericordia e perdono. Un perdono che azzera il conto, dimentica le offese e fa nuove tutte le cose, a condizione che la conversione sia autentica, con la riparazione del male fatto e dello scandalo dato. Questa cura risarcitiva non è certamente facile, ma è una cura per la quale Dio che perdona s’impegna anche a dare la forza necessaria per la riparazione. Così come trovò risposta l’anonima donna prostituta che si presentò in casa del fariseo Simone, dove Gesù stava pranzando, con un vaso di profumo prezioso (non un porta profumi qualsiasi, ma un vero vaso di alabastro), e si “rannicchiò” ai piedi dell’Unico che in quella sala non la giudicava. “Cominciò a bagnargli i piedi di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo” (Lc 7,38).

Più che il comportamento di una pentita, sembra il comportamento d’una miracolata, d’una innamorata: sono vere tutte le interpretazioni. C’è nei gesti della donna un che di eccedente che dà fastidio a Simone, il quale addirittura si scandalizza: “Se Gesù fosse davvero un profeta, dovrebbe sapere chi è questa donna che lo tocca!”. E Gesù di rimando, leggendo nel suo pensiero: “I suoi molti peccati le sono perdonati perché ha molto amato”. La quantità e la qualità del perdono di Dio dipende dalla qualità e quantità del nostro amore appassionato, diventato pentimento e volontà di non ripetere l’errore: questa ormai è la misura del perdono, cioè un amore senza misura, che finisce per diventare motivo di scandalo per i “benpensanti” come Simone il fariseo, tutto sinagoga e legge.

Dietro a quell’amore passionale di donna non c’è però solo il rammarico per una vita sbagliata e per il coinvolgimento nel peccato di tante altre persone, ma una fede adamantina, tale da far dire a Gesù: “La tua fede ti ha salvato: va’ in pace” (Lc 7,44-50). Qualcosa di simile successe all’adultera già condannata dall’opinione pubblica alla lapidazione: “Non ti condanno. Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11). È Gesù stesso che ci invita alla riconciliazione e al perdono, facendoci chiedere nella preghiera che ci ha insegnato: “Perdona a noi i nostri peccati; anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore” (Lc 11,4).

AUTORE: Giuseppe Chiaretti