Amatevi come io vi ho amato

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Giuseppe Chiaretti V Domenica di Pasqua - anno C

È talmente forte e nuovo questo comandamento proprio di Gesù, che i primi discepoli hanno sentito il bisogno irrefrenabile di comunicarlo a tutti come l’unica chiave per aprire la cassaforte del tesoro: il “regno”, come Gesù lo chiamava, e quindi la pace, la bellezza della vita, la serenità, il paradiso, Dio stesso. La prima lettura, come tutto il libro degli Atti, ci racconta la tensione missionaria degli apostoli e di coloro che per la loro predicazione diventavano seguaci di Cristo, in quanto la missionarietà è una connotazione inseparabile della Chiesa: degli apostoli in primo luogo, dei consacrati, dei laici uomini e donne, delle stesse famiglie. Attraverso la Chiesa, Gesù continua ancor oggi a parlare e a fare i suoi miracoli, creando e sostenendo in continuazione il nuovo popolo santo di Dio.

Questo incalzare di predicazioni non avvenne solo agli inizi della storia cristiana, ma avviene sempre, anche oggi. Il Papa stesso, con il suo carisma di vicario di Cristo, continua ad inviare nel mondo non solo preti e religiosi-religiose; ma oggi anche singole persone e intere famiglie con figli anche piccoli, per la permanente e nuova evangelizzazione. Come avvenne nella prima missione di Paolo e Barnaba, al termine della quale essi radunarono la comunità per raccontare la presenza tra loro dello Spirito che accompagnava vistosamente l’opera evangelizzatrice, così dovrebbe avvenire anche oggi, ascoltando il racconto dei nuovi missionari, interessandosi di loro, informandosi e raccogliendo insieme gli episodi più significativi dei loro viaggi apostolici, e vedendo come Dio continua anche oggi ad “aprire ai pagani la porta della fede”. Cristo non abbandona la sua Chiesa, ma la sollecita a tenere il passo con gli uomini di ogni cultura e di ogni latitudine.

Gli effetti dell’evangelizzazione toccano certamente il presente, ma toccano anche il futuro, fino al futuro ultimo, ora inimmaginabile: la città di Dio, il Regno, la nuova Gerusalemme; e cioè “un nuovo cielo e una nuova terra”, dove Dio stesso “dimorerà tra gli uomini ed essi saranno suo popolo ed egli sarà Dio con loro”. Questo orizzonte futuro non è frutto della fantasia, ma ci è aperto da quel libro profetico che rivela e anticipa quanto agli occhi umani resta oggi nascosto e impenetrabile: è il libro dell’Apocalisse, il senso della storia futura della Chiesa. Tale futuro non è nascosto agli occhi di Dio, il quale ci ripete la parola della sorpresa: “Io faccio nuove tutte le cose”. Le ha già fatte nuove con la Pasqua di Gesù, colui che si pone per tutti come un modello di nuova umanità, lui che è “chiave, centro, fine di tutta la storia umana (GS 10), e quindi “svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota l’altissima sua vocazione” (GS 22). “Senza il Creatore, infatti, la creatura svanisce – ci ripete il Concilio – giacché l’oblio di Dio priva di luce la creatura stessa” (GS 36).

È la Chiesa che con il Concilio Vaticano II ci ha riproposto la radice divina della nostra consistenza, e ci invita ad aver rispetto e fiducia in Dio e nel Suo progetto che si disvela ogni giorno più, nonostante le nostre resistenze. Il brano evangelico ci svela finalmente il segreto del nostro autentico welfare: “Amiamoci tra noi, perché Dio ci ama, e amiamoci come Dio ci ama”. Sull’amore infatti è costruita tutta l’esperienza e la proposta cristiana, perché Dio è amore. L’apostolo Giovanni ci ripete innumerevoli volte questa verità fondativa. La Chiesa ci insegna che, se vogliamo disfarci della realtà vessatoria dell’homo homini lupus (l’uomo è lupo per l’altro uomo), dobbiamo fare spazio alla civiltà dell’amore. Per questo cammino di disintossicazione ci è data la grande “scena” del mondo, il lungo tempo dell’attesa e la fatica dell’esperienza anche negativa. La formulazione ultima e l’esemplificazione del precetto dell’amore ce l’ha data Gesù stesso: “Amatevi come io vi ho amato”, e l’icona del Crocifisso è per noi un memoriale parlante del suo amore.

Quando siamo soffocati da rigurgiti di odio e di rancore d’antica data e con gravi motivazioni, guardiamo il Crocifisso. Quando avvertiamo freddezza verso l’altro che è nel bisogno, guardiamo il Crocifisso. Quando siamo aggrediti dalla violenza e dall’ira altrui, guardiamo il Crocifisso. Quando a sera c’è bisogno di riconciliazione e di perdono perché il sole non tramonti sulla nostra ira, guardiamo il Crocifisso. Sempre nelle situazioni complesse e difficili che creano problemi in casa e fuori, guardiamo il Crocifisso.

Quel “come” di Gesù è bene interpretato (“al vivo”, dice Paolo) nell’icona del Crocifisso, che non solo dà la sua vita, ma dà anche il perdono a chi lo sta assassinando pensando di fare gli interessi di Dio; il quale, a dir la verità, non ha bisogno di giustizieri, ma solo di figli semplici e umili che stiano con lui, come Maria. “Da questo amore coinvolgente e senza riserve – ci assicura Gesù – tutti sapranno che siete miei discepoli”, senza bisogno d’altre prove. E questa sarà sempre la migliore evangelizzazione, anche degli Erodi e dei Pilati di oggi.

AUTORE: Giuseppe Chiaretti