Accogliere lo straniero è una scelta, così come scegliere di aver fiducia in Dio e negli uomini. In estrema sintesi questa è la conclusione a cui conduce la relazione di Enzo Bianchi, priore di Bose, dopo aver esaminato a fondo le varie sfaccettature del fenomeno delle migrazioni e della nostra società multiculturale. Il suo è il punto di vista di un monaco che da decenni ormai non solo si confronta con il volto reale delle persone, ma ha anche cercato nel pensiero filosofico e teologico il fondamento teoretico del perché le Scritture si schierino in modo chiaro e deciso dalla parte dello straniero. Nell’Antico Testamento troviamo infatti il monito a ricordare quando “anche noi eravamo stranieri”; nelle lettere apostoliche l’invito: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli” (Eb 13,2); fino al discorso di Gesù sul giudizio dell’ultimo giorno: “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35). Il presupposto è una cultura dell’ospitalità basata sulla relazione: relazione con se stessi, con gli altri e con Dio. È qui che s’innestano tutte le dimensioni dell’essere umano, ma – continua Bianchi – è un percorso complesso, che passa innanzitutto per il riconoscimento dell’alterità, in tutta la sua differenza, dignità e libertà, ma anche nella piena consapevolezza dei propri sentimenti ostili nei confronti del “lontano”. Il secondo passo è l’ascolto, definito “arduo ed essenziale”, perché da questa “chiamata” nasce il vero confronto delle differenze e la possibilità di trasformarle in risorse. Il terzo passo è la simpatia: la vittoria sui pregiudizi individuali e sociali, in cui siamo invitati a sospendere il giudizio, riflettendo sui condizionamenti di una società in cui, afferma con amarezza il priore della comunità di Bose, “è morto il prossimo, non più solo Dio”. E continua: “Il povero non è mai bello, e per non guardarlo in faccia, siamo arrivati alla carità virtuale, fatta con il telefonino”. Quarto ed ultimo passo verso la relazione è il dialogo. Sulla base di Lévinas: “Io sono nella sola misura in cui sono responsabile dell’altro”, dialogare significa “avanzare insieme”, dando lo stesso valore sia alle uguaglianze che alle differenze. È l’etica dell’incontro, senza attendersi reciprocità, ma nella relazione asimmetrica che ci chiama alla gratuità. Per i cristiani c’è un valore extra che ci riconduce ai passi biblici da cui siamo partiti, ma l’analisi filosofica s’illumina della luce di Pasqua quando, rispondendo a una domanda sulla possibilità dello scontro di civiltà, Enzo Bianchi ci indica la direzione verso cui orientare le nostre scelte nel farci prossimi e il terreno comune in cui tutti gli uomini s’incontrano: “Gesù Cristo ci ha parlato di Dio attraverso l’uomo e con Lui conosciamo l’uomo vero”. Come dire: “Perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: ‘Gesù Cristo è Signore!’, a gloria di Dio Padre”.
I quattro passi dell’accoglienza
Incontro a Foligno con il priore della comunità di Bose, Enzo Bianchi
AUTORE:
Federica Finauri