Io faccio una cosa nuova

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Giuseppe Chiaretti V Domenica di Quaresima - anno C

La “cosa nuova” che fa il Signore è una nuova Pasqua di liberazione. La prima Pasqua fu quella della liberazione di un popolo di schiavi ad opera di un condottiero abile, Mosè, attraverso l’Esodo: ma è ormai un fatto del passato, una cosa fondamentale ma antica. C’è invece un’altra Pasqua, un’altra liberazione, non più solo di un’etnia ma d’un popolo intero che è diffuso nell’intera ecumene, chiamato a libertà dalle sue schiavitù interiori tramite un altro condottiero, Gesù di Nazareth, attraverso un esodo che ha comportato l’assassinio del Condottiero ma anche la sua risurrezione da morte; e questa liberazione è sempre in atto. Ora siamo noi dentro questo esodo, accompagnati da un fiume di acqua nella steppa, datoci – come dice il profeta Isaia – “per dissetare il Mio popolo, il Mio eletto”.

È un invito ad accorgersi di quel fiume pressante di grazia che è la Pasqua, e ad approfittarne. Il tino della misericordia di Dio trabocca ad ogni lato: occorre dissetarsi ad esso con il sacramento del perdono, la confessione. È bene anche partecipare a quell’insieme di riti e di segni svolti in abbondanza nelle chiese,che indicano e ricordano quello che Dio ha fatto e fa per noi, in maniera da approfittare di queste strade di misericordia, di questi fiumi di perdono. Giustamente dobbiamo vivere la letizia del Salmo 125, che ci ammonisce con saggezza: “Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo!”. La lettura tratta dalla lettera di Paolo alla comunità cristiana di Filippi è una introduzione singolare alla Pasqua ormai imminente, su come dobbiamo intenderla e come dobbiamo viverla.

È una impressionante confessione di fede di Paolo, il quale parla in prima persona indicando quello che in lui, Paolo, ha provocato la fede, e cioè la “sublimità di conoscenza di Gesù Cristo mio Signore”. Dinanzi ad essa tutto il resto è skùbala, e cioè spazzatura, rifiuti, sudiciume, escrementi. Di conseguenza essa ha provocato anche una “partecipazione alle sofferenze di Cristo per giungere in qualche modo alla risurrezione dai morti”, e una conoscenza della “potenza della sua risurrezione”, che è sperimentazione della identità di Gesù risorto, la quale porta già ora il credente alla sua stessa condizione. In questo cammino sulle orme di Gesù, Paolo non è ancora arrivato alla perfezione, ma si sforza di correre per raggiungere il premio. Descrive la sua situazione personale con una splendida similitudine: “(Sono) dimentico del passato e proteso verso il futuro”. Il passato è perdonato, e il futuro è promesso con certezza.

È una splendida immagine che definisce il credente di ogni tempo e di ogni luogo, e che Paolo avrà forse ripreso dalla statuaria classica, come il Discobolo. In questo contesto di grazia si inquadra l’incontro di Gesù nel tempio, dove i soliti scribi e farisei sono alla ricerca disperata di una parola o di un fatto che consenta loro di accusare di blasfemia lo sconosciuto rabbi del nord. Ne nasce una scena drammatica di incredibile potenza. I farisei buttano fra i piedi di Gesù una donna colta in flagrante adulterio e gli dicono con perfidia: “Maestro, Mosè nella sua legge ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”.

Per Gesù non c’è scampo, qualsiasi risposta sarebbe stata a suo danno. Si mise allora a scrivere col dito per terra. Ai farisei che insistevano per una risposta disse: “Va bene, chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra!”, e tornò a scrivere. Chissà cosa avrà scritto sulla polvere!… “Tutti se ne andarono, uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi”, dice il giovane evangelista Giovanni, divertito. Gesù sa che per quella adultera, come per tutti gli adulteri, i disonesti, gli egoisti del mondo, ci sarà Uno che pagherà per tutti. Ora è il momento della misericordia. E alla donna, che chiama Gesù “Signore”, dice: “Va’, neanche io ti condanno. D’ora in poi non peccare più”. Una folata di vento, il vento del perdono, chiuse quella scena drammatica. E la speranza cominciò ad abitare le nostre case.

AUTORE: Giuseppe Chiaretti