Chi sono i nuovi padri del 2010

Festa del papà. Intervista a tre esempi di genitorialità contemporanea

Com’è la vita di un padre? Quali sono le sue speranze e le sue preoccupazioni nel crescere i figli? Ci siamo posti queste domande in occasione della festa di san Giuseppe, 19 marzo, che qualche tempo fa era abbinata alla festa del papà lanciata con grandi mezzi pubblicitari, oggi quasi dimenticata. Per riflettere su ciò La Voce ha raccolto tre storie di genitori umbri, che raccontano percorsi differenti. Hanno un’età attorno alla cinquantina, alle prese con figli giovani e giovanissimi. E con vari problemi, causati dalla vita e dalle loro scelte personali. Bruno Casagrande, 52 anni, è un operaio cassaintegrato della Merloni, in località Gaifana. Una moglie con stipendio part-time, 700-800 euro al mese in tasca. Suo figlio, ventenne, è studente di Informatica. Abita nella vecchia casa dei suoi genitori; aveva provato a costruirsene una, che è rimasta uno scheletro di cemento. Nella sua economia domestica mancano circa 10 mila euro all’anno. Tanto. “Farmi una casa è sempre stato il grande sogno della mia vita. Dopo venti anni di lavoro alla Merloni e di risparmi, ho creduto di potermela fare, di poter dare anche a mio figlio un’abitazione migliore, un po’ più grande, un po’ più accogliente. Poi è arrivata la crisi economica e la mia vita è cambiata. Adesso mio figlio chiede, da tempo, un computer nuovo. Una piccola richiesta, ma io non posso ugualmente permettermelo. Allora parliamo delle nostre difficoltà, del lavoro che non c’è, di questo brutto momento, del mutuo contratto per la nuova casa che continuiamo a pagare. Del fatto che il Governo dovrebbe riversare circa 35 milioni di euro sull’economia della dorsale appenninica, ormai a terra. Mio figlio mi comprende, tuttavia è sempre un giovane cresciuto in tempi ben differenti dai miei, che provengo da una famiglia contadina: noi eravamo abituati a soffrire, a stringere la cinghia; né c’erano tutte queste possibilità d’oggi che sicuramente invogliano i ragazzi a spendere e ad avere. Ed è un fatto che, visti i tempi migliori, vogliano condurre una vita con un tenore ben più elevato della nostra”. Marcello Migliarini ha oggi 58 anni. Tre anni fa sono entrati nella sua famiglia due ragazzi in affidamento preadottivo, provenienti da un istituto abruzzese dove vivevano dopo l’abbandono da parte dei genitori naturali. L’unico loro affetto rimasto, una vecchia nonna, è scomparsa qualche tempo fa, poco dopo il terremoto de L’Aquila. Prima Marcello, di professione infermiere, praticava diverse attività all’aria aperta: paracadutismo sportivo, arrampicata, equitazione. Adesso passa i pomeriggi, spesso insieme a sua moglie, di professione medico all’ospedale di Gubbio, a seguire i compiti a casa di quei due ragazzi che – fra breve – prenderanno il suo cognome. “Di solito mi chiamano Marcello, ogni tanto anche papà, soprattutto quando parlano di me con i loro coetanei – racconta. – Mi rendo conto che abbiamo preso quasi degli adolescenti, ragazzi già formati nel carattere. Vittorio ha 11 anni, Ileandra 13. La loro più grande difficoltà è la scuola, visto che in istituto, sotto questo punto di vista, non erano seguiti: nessuno, ad esempio, ha insegnato loro che esistono delle regole da rispettare”. Un bilancio di questa nuova esperienza genitoriale? “Positivissima!”, risponde felice. “Prima – continua -, insieme a mia moglie facevo tante camminate, arrampicate, molti viaggi extraeuropei. Ma non ci bastava, sentivamo che ci mancava qualcosa. Solo adesso proviamo completezza, ora che sappiamo che siamo una famiglia, vera”. Poi c’è un padre che non ha storie particolari da raccontare. Si chiama Paolo Valigi, 48 anni, fa l’insegnante universitario alla facoltà di Ingegneria, a Perugia. Non ha problemi economici, la sua famiglia è, sotto questo aspetto, assolutamente tranquilla. Ha due maschi, di 12 e 15 anni. “Sono nell’età adolescenziale – riflette -, quella particolare fase in cui occorre dare loro più libertà, in cui loro richiedono più autonomia. Ma è anche la fase che mia moglie ed io temiamo di più: più pericoli, più distrazioni, più possibilità di ‘sbandare’. La mia preoccupazione principale – continua il docente – è proprio questa, ossia come valorizzare la loro voglia di autonomia per farli diventare persone vere e, al tempo stesso, come limitarli, quando ci sembra che si incamminano su sentieri sbagliati. Portaseli dietro è ormai possibile solo se si parte per una vacanza lunga, tipo mare o settimana bianca. Invece, per i fine settimana hanno già il loro calendario di impegni, con i loro amici”. Valigi parla anche della fede, di come trasmetterla ai figli. “Anche su questo parliamo molto con loro, discutendo sempre in un’ottica di equilibrio fra libertà e suggerimento. La nostra testimonianza di genitori è importante, ma siamo consci che decisiva sarà la loro scelta personale, quando vorranno abbracciare la fede da adulti, in maniera convinta”.

AUTORE: Paolo Giovannelli