“Cristo è risorto”: è l’affermazione centrale della lettera di Paolo ai cristiani di Corinto, città in cui l’ambiente era come quello di Atene, in cui dominava lo scetticismo per ogni ipotesi di risurrezione dei morti. Paolo lo fa con la forza del testimone che ha incontrato di persona il Risorto, appellando anche ad una sorta di affermazione dogmatica entrata nella professione di fede dell’intero collegio apostolico, che ha visto realizzarsi nella risurrezione di Gesù la parola di Dio e dei profeti. Ed è quello che anche Paolo ha ricevuto, cioè “che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, che fu sepolto, che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e ai dodici “(1 Cor 15, 3-5).
E lo fa argomentando anche dal negativo. Se Cristo non è risorto allora è vana la nostra – vostra fede (lo ripete due volte), è falsa la nostra predicazione, noi siamo falsi testimoni contro Dio, i morti in Cristo sono perduti, coloro che hanno sperato in Cristo per questa vita terrena sono da commiserare. “Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti!”. La risurrezione dai morti di Gesù di Nazaret non è un racconto mitico, ma un fatto storico, per il quale tutti gli apostoli hanno dato la vita. E noi sperimentiamo i frutti di quella vittoria di Cristo sulla morte. Su quella vittoria, che è certezza di evento, si radica e si fonda la Chiesa e nasce la speranza. Non è un desiderio o un generico auspicio, ma la certezza che anche noi, figli di Dio e membra del corpo di Cristo, risorgeremo con Lui a vita eterna.
L’oracolo di Geremia nella prima lettura taglia netto, è senza sfumature: è benedetto, e cioè lieto, sereno, affidato alla Parola di Dio che è scudo e difesa, “colui che pone la sua fiducia in Dio”, e non solo crede in lui, ma si affida a lui, confida in lui, si rifugia in lui, accetta e vive la sua parola, cammina alla sua presenza. Egli è come un albero piantato lungo corsi di acqua: emerge sugli altri per la sua imponenza, la verde chioma, i frutti polposi a suo tempo. È maledetto, invece, e cioè triste, sconfitto, disfatto, chi pone la sua fiducia nell’uomo, cercando “nella carne”, e cioè nei soli mezzi umani del potere e delle ricchezze, il suo sostegno e le sue difese. La speranza non c’è più; c’è solo la confidenza presuntuosa nelle proprie forze, aride come un albero senza vita. L’oracolo di Geremia è ripreso di nuovo nel Salmo responsoriale, dove si esorta a scegliere la via del bene, rifiutando come nociva la via del male.
L’esemplificazione addotta è ancora quella dell’albero: fiorente è l’albero prossimo all’acqua di cui si nutre, arido è l’albero della steppa che non ha nutrimento adeguato. L’immagine è eloquente per se stessa: l’acqua viva è il segno dello Spirito, che sgorgherà a fiumi dal grembo del credente (Gv 7,38). È dallo Spirito, infatti, che riceviamo il nutrimento della grazia, che ci consente di superare le insidie del male e di far nostre e attuare le parole di Gesù, il quale ci ha lasciato una consegna molto chiara: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Nel brano del Vangelo ci viene proposto il celeberrimo Discorso della montagna, con il quale Gesù delineò il “discepolo” che poteva dirsi veramente cristiano, alter Cristus. La versione di quel discorso è quella di Luca, il quale, come notano gli esegeti, sembra più preoccupato dell’aspetto sociale e morale della sequela, anziché di quello identitario.
La divisione tra i benedetti e i maledetti dell’oracolo di Geremia viene ribadita seccamente con una identificazione ancora più precisa mediante l’uso rapido di due parole contrapposte: beati e guai! Beati i poveri, i diseredati, i sofferenti, i perseguitati! Guai invece ai ricchi, ai sazi, ai bontemponi, agli osannati dal mondo. È la giustizia che lo esige. E Dio è giusto. Due vie anche qui, due modelli di alimentazione, due modalità di vita in netta contrapposizione tra loro. Ma Gesù fa chiaramente capire da che parte egli si trovi, e chiede anche a noi di schierarci. Non si tratta di far guerra a nessuno, ma di seminare in abbondanza grano buono nei solchi della vita. “Che si vegli o si dorma, di giorno o di notte, con il tempo favorevole o il tempo avverso, il seme germoglia e viene alla luce; come, nessuno lo sa. La terra produce spontaneamente” (Mc 4,26).