La relazione sull’andamento della giustizia in Umbria viene tenuta, ogni anno, dal presidente della corte d’Appello, che è la più alta autorità giudiziaria nella regione. La relazione riguarda l’attività degli oltre cento magistrati ordinari, di quasi altrettanti giudici onorari e di circa cinquecento collaboratori, nei settori civile, penale, minorile, del lavoro, fallimentare, penitenziario. Una massa di procedimenti giudiziari che toccano direttamente o indirettamente la vita di ogni cittadino. Altre relazioni saranno svolte, in cerimonie separate, per la giustizia amministrativa (Tar), quella contabile (Corte dei conti) e quella tributaria (Commissione regionale), ma l’attività in questi tre settori, messa insieme, rappresenta quantitativamente poche briciole rispetto a quella della magistratura ordinaria. Quest’anno, sabato 30 gennaio, la relazione è stata svolta da Emanuele Salvatore Medoro, un calabrese trapiantato in Umbria da quaranta e più anni. Alla sua relazione ha dato il taglio e il tono di un rendiconto strettamente tecnico, molto minuzioso e quindi lungo, ma asciutto. Ha totalmente omesso (e non è detto che sia un difetto!) riflessioni sui massimi sistemi, divagazioni colte, commenti sulla politica e sull’economia. Ma, come si dice, qualche sassolino dalla scarpa se lo è levato. È stato, fra l’altro, quando ha parlato dell’enorme numero degli avvocati: 2.800 in Umbria (e avrebbe potuto aggiungere: 220.000 in Italia). In Umbria, fanno un avvocato ogni trecento persone. Certo, i medici sono anche di più: ma con i medici tutti abbiamo a che fare, mentre si può vivere una vita intera senza avere una causa. E per di più, ha detto Medoro, sempre nuove leve bussano alla porta della professione, sicché abbiamo “un autentico esercito di giovani futuri liberi professionisti votati ad un’accanita concorrenza”. Da qui “il rischio di un decadimento della professione legale” e, di più, lo scatenarsi di “una domanda di giustizia che non corrisponde alle effettive esigenze dell’utenza, ma corrisponde a quelle dei difensori che l’assistono”. “Parole sante”, ci ha detto sottovoce un altro magistrato. Sante e coraggiose. Tutti si lamentano, giustamente, dei processi penali e civili che non finiscono mai, ma poco si ragiona sul perché di questa situazione. I riflettori sono sulla disorganizzazione degli uffici giudiziari, sui comportamenti dei giudici e dei loro collaboratori. C’è molto di vero. Ma nessuno o quasi si chiede quanto pesino, invece, i comportamenti degli avvocati e dei loro clienti. Medoro ha rotto il silenzio: troppi avvocati, uguale troppe cause, uguale giustizia che non funziona. A parte, naturalmente, gli altri problemi che pure ci sono. Questo, almeno, è il punto di vista dei giudici. C’è di che meditare.