Le letture di questa domenica ci rimandano nel loro insieme al tema della vocazione di colui che Dio chiama per una missione. Il “profeta” non è un indovino o un fondamentalista, ma è inviato da Dio a ricordare la Sua parola e i suoi comandamenti e ad attualizzarli nelle diverse situazioni. Tali sono Isaia, Paolo, i discepoli che Cristo ha chiamato ad essere apostoli. Al profeta Isaia, Dio, che gli compare in una scenografia apocalittica, dice di non aver paura di riferire a tutti gli abitanti della Giudea, sia le autorità – il re, i capi, i sacerdoti – sia il popolo, il giudizio divino sul loro comportamento. Il profeta avverte di essere un “uomo dalle labbra impure”. Dio gliele fa toccare con i carboni del sacrificio, e Isaia risponde subito, purificato, all’invito di Dio: “Eccomi, manda me!”.
È una lezione per dire alla Chiesa che, quando si tratta delle cose di Dio, non dobbiamo aver paura di nessuno e mai dobbiamo tradire la verità, anche se siamo minacciati di rappresaglia. Ed è pure un invito ai “profeti” di oggi a non tirarsi mai indietro, anche se l’annuncio risultasse scomodo o provocasse ironia. Il dramma di oggi non è tanto l’arroganza di chi difende il male, ma la viltà di chi è chiamato a difendere la verità, gli indifesi, la giustizia, la legalità ecc., e si tira indietro, si mimetizza, si nasconde. Quel “manda me” corrisponde al fiat di Maria, che non si impaurisce dinanzi alla missione che le viene chiesta, ma dà il suo assenso, benedicendo e lodando la bontà dell’Onnipotente. Nell’urgenza grave della nuova evangelizzazione, che non è missione oggi meno audace, è dovere di tutti i battezzati avvicinare i lontani, gli arrabbiati con Dio, i cercatori di Dio, gli indifferenti, per testimoniare, come Maria, la lode, la benedizione, il ringraziamento all’Eterno per l’immenso bene che ci ha fatto donandoci la fede.
Anche Paolo, il persecutore, fu un chiamato. Gesù stesso lo buttò giù dal simbolico “cavallo” della sua presunzione per dirgli che nei cristiani perseguitati è Cristo stesso che continua la sua passione, e continua anche la sua presenza tra la gente nel tempo e nello spazio. Il Risorto dette testimonianza di sé vivo a più persone, ed anche a Paolo, che disse, come novello Isaia, “per grazia di Dio sono quel che sono”, e si fece annunciatore indefesso e coraggioso del Vangelo che salva. I contenuti dell’Evangelo non cambiano perché non può cambiare la Verità; possono però cambiare gli approcci con le persone, la forza dell’annuncio e della testimonianza. Paolo portò nell’evangelizzazione tutta la forza, la tenacia, l’irruenza della sua esperienza di persecutore prima, di “afferrato da Cristo” dopo; e poteva dire al termine della sua vita travagliata: “Ho combattuto la buona battaglia” (2 Timoteo 4,7).
A tutti coloro che sentono urgere nel loro cuore la chiamata di Cristo, oggetto di un amore vero, appassionato, profondo, dico di non preoccuparsi tanto di come dire Cristo, ma di amarlo sempre di più per rispondere con gioia ed entusiasmo travolgente alla sua chiamata ad essere “pescatori di uomini”. Il racconto del Vangelo ci riesce di grande consolazione. È il racconto della grande pesca fatta obbedendo all’invito di Gesù (“Prendete il largo e calate le reti per la pesca”), anche se i primi discepoli l’hanno fatto forse con un po’di scetticismo per aver pescato tutta la notte senza aver preso nulla.
Quella volta però il risultato della pesca vinse ogni dubbio, e a Pietro non rimase che mettersi in ginocchio dinanzi a Gesù per confessargli, come il profeta Isaia dinanzi a Dio: “Sono un peccatore, allontanati da me!”. Sant’Ambrogio commenta, con un po’ d’umorismo, l’esito di quella pesca, dicendo: “Il popolo cresce mediante la fede. Le reti si spezzano ma il pesce non fugge, e addirittura si chiamano in aiuto i compagni dell’altra barca”. La pesca abbondante, infatti, non è il risultato della baldanza giovanile dei pescatori o di qualche sonar che identificava i banchi dei pesci. È, invece, il frutto della fiducia in Gesù, Figlio e Servo di Dio, e della nostra obbedienza gioiosa alla sua chiamata. E se Dio chiama, non può dirsi di no: ne va di mezzo, in forme più o meno consapevoli, il bene della Chiesa, della società, dello stesso “profeta” vocato.