Il fascino di Ponziano

“La vera vita - ha detto l’Arcivescovo - anche sul piano terreno, naturale, si trova solo nel dono di sé e nella fedeltà ad un progetto. Solo così si ha una vita libera, svincolata, aperta”

Il fortissimo legame degli spoletini con il loro patrono, san Ponziano, si è manifestato ancora una volta il 14 gennaio, quando migliaia di persone hanno partecipato alle celebrazioni in onore del primo martire della Chiesa di Spoleto. La gente è molto “attaccata” a questo giovane che, per rimanere ancorato alla fede, è stato decapitato dagli sgherri del giudice Fabiano. Ci troviamo sotto l’impero di Antonino, intorno alla metà dell’anno 100. Ponziano, narra la sua Passio, è stato martirizzato nel 175, presso il Ponte Sanguinario, alle porte della città. Un Santo lontano nel tempo, ma rivoluzionario ancora oggi con il suo messaggio. Non ci dice cose stravolgenti, non ci indica di fare questo o quello, ci fa semplicemente gustare il suo grande desiderio di essere cristiano, di servire Dio e non gli dèi. Senza paura, sopportando le più brutali torture, lodando e ringraziando il Signore anche sul patibolo della morte. La gente di Spoleto è ancora affascinata da questo patrono, che non era né vescovo né prete, ma un giovane, un giovane come tanti altri. Durante l’anno la sua reliquia – la testa – è custodita nella basilica a lui dedicata presso il colle Ciciano, sorvegliata dalle monache Canonichesse regolari lateranensi. Nella discrezione più totale, moltissimi spoletini vi si recano per chiedere l’intercessione di san Ponziano che, secondo la tradizione, protegge la città anche dal terremoto. Famoso è il detto: “Spoleto tremerà, ma non crollerà”. Quest’anno uno spoletino in più si è aggiunto a pregare il Santo: l’arcivescovo Renato Boccardo. Per la prima volta il presule ha presieduto le celebrazioni – primi vespri, pontificale, secondi vespri e processione – in onore del patrono. Cattedrale gremita la mattina del 14 per la messa pontificale. Difficile, invece, quantificare la gente che è accorsa alla processione del pomeriggio. Un momento di preghiera davvero suggestivo: un centinaio di cavalli e cavalieri aprivano il corteo, poi i Granatieri di Sardegna in divisa storica, le autorità cittadine, la reliquia del santo, i sacerdoti, il Vescovo e migliaia di fedeli con le torce in mano. Dalla cattedrale, un sacerdote e la Cappella musicale, grazie ad un impianto di amplificazione per le vie della città, hanno guidato la gente nella preghiera e nella meditazione. In Umbria la grande fiaccolata in onore di san Ponziano è seconda solo alla corsa dei Ceri di Gubbio per sant’Ubaldo. Tradizionalmente la festa del patrono è l’occasione per gli Arcivescovi di Spoleto di parlare alla città, di rivolgere messaggi forti, di indicare con chiarezza il compito dei cristiani nella società. Ancora riecheggiano nelle grandi volte del duomo le parole dell’arcivescovo Alberti che, nel lontano 1973, denunciò come la piaga della droga si stava impossessando dei giovani spoletini. Da quell’accorato appello nacque il Centro di solidarietà, oggi intitolato a don Guerrino Rota. Mons. Boccardo, ricordando le vicende di san Ponziano, si è chiesto e ha chiesto cosa significhi oggi dare la vita per Gesù. Il presule nell’omelia ha condiviso il suo pensiero con i presenti: “Dare la vita per il Signore significa far fronte non al problema della morte, ma al problema della vita: accettare che lo scopo della vita non sia la conquista del potere e del successo, l’affermazione di sé o il possesso di beni, bensì che essa si costruisca giorno dopo giorno nella dimensione della gratuità e del dono, alla scuola di Gesù e dei martiri. Chi dunque accetterà di aprire così la propria vita in una generosità senza calcoli… costui assicurerà la propria vita. Si tratterà allora di credere che la vera vita, anche sul piano terreno, naturale, si trova solo nel dono di sé e nella fedeltà ad un progetto. Solo così si ha una vita libera, svincolata, aperta, a cui Dio e l’uomo hanno accesso. Non basta l’entusiasmo di un momento – ha ricordato l’Arcivescovo – per essere discepoli, né basta decidere in base ad una qualche esperienza forte. La sequela di Gesù implica un coinvolgimento tale che può portare là dove non si vuole andare, può far vivere cose insperate e ancora inaudite. Una vita di questo genere non cessa morendo, perché appartiene già a Dio ed Egli rimarrà vicino anche nella morte”.

AUTORE: Francesco Carlini