È dalla Parola di Dio che nasce l’avventura cristiana. E non da una parola astratta, destoricizzata, ma una Parola innervata di vicende umane e di concretezza dei fatti. Viene a noi da lontano, dalla storia remota dell’umanità ed in particolare da un popolo, l’ebraico, che Dio ha scelto come depositario dei suoi segreti e dei suoi progetti, a cominciare da un evento politico-religioso: la liberazione incredibile di quel popolo, che Dio ha voluto e favorito, da un potere schiavizzante, quello del faraone d’Egitto, verso la libertà piena, politica organizzativa, religiosa. È una storia minuziosamente narrata in un insieme di scritti, che la prima lettura ci ha presentato come “il libro della legge di Mosè” (il Pentateuco), recuperato dopo un ennesimo periodo di dispersione e di schiavitù.
Tutta la massa dei dispersi è convocata dallo scriba-sacerdote Esdra per ascoltare la Legge, d’origine divina, che ha dato e dà un’identità precisa a quel popolo. Si costituisce una kahal di convocati che piange al sentire l’antico ammaestramento di Dio, e gridano a Dio il loro “grazie” e la loro volontà di realizzare quella Parola che li ha sostenuti nel tempo della schiavitù e che li fa popolo. È questo l’atto sorgivo d’ogni evangelizzazione: l’ascolto della Parola di Dio “oggi”, nella situazione concreta di ciascuno. Da quell’ascolto nasce la Chiesa, il popolo di Dio. È su questa linea di centralità della Parola che va inteso anche il brano del Vangelo, il quale presenta Gesù nel suo primo comparire ai compaesani con l’autorevolezza di un giovane che ha studiato la Torah, e può quindi parlare al popolo riunito in assemblea nella sinagoga di Nazareth.
L’esito di quell’incontro non fu felice, come abbiamo ascoltato e come vedremo meglio nella prossima domenica, a causa della identificazione che Gesù fa con una parola profetica, presentandola come “parola” realizzata “oggi” in se stesso. La Chiesa continua ad invitarci ad ascoltare “oggi” la Parola, perché “oggi” essa si compie realmente in ogni celebrazione liturgica. Gesù, così, si rivela e opera come “salvatore” e “liberatore” in ogni incontro assembleare in cui si spezza la Parola, e cioè la si espone a tutti il più chiaramente possibile. È di grande significato l’abbinamento che la liturgia, all’inizio del nuovo anno liturgico, fa di queste due assemblee (quella di Esdra nella ricostruita Gerusalemme e quella di Gesù nella sinagoga di Nazareth), a ricordarci, come s’è detto, che ogni celebrazione liturgica, in cui lo Spirito opera, è il luogo dell’adempimento salvifico della Parola di Dio. “Le divine Scritture, regola suprema della fede, impartiscono immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli, la voce dello Spirito santo”, ammonisce un testo conciliare (DV 21).
Ecco perché non può farsi “nuova evangelizzazione” senza ancorarsi seriamente e continuamente alla Parola di Dio. La fede, che ci fa popolo di credenti, nasce come dono di Dio, certamente, ma ha bisogno di continua alimentazione integrativa con la Parola di Dio e la preghiera. E non esonera il credente dall’esercitare sempre, dovunque e comunque, la sua parte di evangelizzazione, che traspare innanzitutto dalla testimonianza della vita e della carità, per incanalarsi nel grande alveo della missionarietà. Dobbiamo cioè annunziare la Parola di Dio a chi non sa, o non è credente, o è credente in altro, o rifiuta ogni gesto religioso.
L’insegnamento di Paolo nella seconda lettura ci ricorda con forza e autorevolezza che, oggi, la Chiesa è certamente il “Corpo di Cristo”, di cui noi siamo membra. Un corpo sano, però, non vive senza il dinamismo delle membra; ed anche la Chiesa non può operare efficacemente senza il dinamismo dei doni e dei carismi, il primo dei quali è sempre la fede testimoniata con le opere. Il mondo moderno sta soffrendo di grande aridità spirituale; occorre investirlo a profusione con la gioia della fede e con gli orizzonti non angusti della Parola di Dio.