Con l’ultimo numero del 2009 La Voce ha concluso il 25° anno di vita del suo nuovo corso. Questa scadenza, prima di inoltrarci nel prossimo e, speriamo, remoto futuro ci ha spinto a rivisitare il numero di inizio di questa vicenda, quello del 1° gennaio 1984 che si apre con una grande immagine del Cristo benedicente di Vèzelay, assiso sul trono, dominatore del tempo, ricoperto di un manto dalle tante pieghe, dentro le quali sembrano nascondersi i segreti del futuro. In quell’immagine, scriveva il nuovo direttore, don Elio Bromuri, nel suo primo editoriale, sono racchiuse anche ”le ragioni della nostra speranza”. Quella speranza non è stata vana e il settimanale, pur attraversando tempi difficili e insidiosi ed avendo anche subito attacchi e sleali concorrenze, sta più che mai in piedi, letto e considerato, quanto meno con rispetto, anche dagli avversari della Chiesa. Nel primo numero, dunque, si ringraziano i Vescovi delle diocesi umbre perché hanno creduto e dato vita al settimaale, sospinti con entusiasmo da mons. Cesare Pagani, allora arcivescovo di Perugia e presidente della Ceu. I Vescovi, insieme ad un importante editore, l’avvocato Giuliano Salvatori del Prato, amico di mons. Ottorino Alberti, allora arcivescovo di Spoleto, tentarono di costituire una società per azioni con partecipazione di vescovi, preti, parrocchie e singoli lettori, in modo da realizzare una comunione di risorse e di intenti in vista di una efficace comunicazione. Purtroppo il progetto non funzionò, ma il senso di quell’operazione resta valido nella prospettiva di fare, sempre più, de La Voce, un giornale delle Chiese e del territorio dell’Umbria, strumento per stendere legami di comunione e una rete di relazioni in tutte le direzioni, verticali e orizzontali, per fare comunione. Oltre alla gratitudine e al ripensamento, quest occasione ci serve anche a segnalare ai nuovi lettori alcune persone che in questi anni hanno contribuito a fare la Voce, lavorando ai vari livelli. Non possiamo fare un elenco, che sarebbe troppo lungo, ma soltanto la menzionedi alcune firme, le prime che leggiamo nelle pagine del primo numero. Partiamo dal compianto vescovo e amico Carlo Urru, che scrive l’editoriale “Nel solco della continuità” in cui si preoccupa di rassicurare il lettori che La Voce continua a svolgere un ruolo adeguato alla mutazione dei tempi senza strappi con il passato. In seconda pagina troviamo Maurizio Maio che ha poi preso la via dell’insegnamento, che scrive sulla “Povertà come conquista dei popoli”, presentando un libro controcorrente, ancora attuale. Nella stessa pagina e nella successiva troviamo tre articoli di Marco Tarquinio sulla politica estera e il messaggio del presidente Pertini. Tutti sanno che Tarquinio è diventato direttore di Avvenire, e ciò riempie tutti noi di indubbia soddisfazione. Altra firma che compare è quella di Luca Diotallevi, che affronta il rapporto del Censis rilevando fin da allora la sua vocazione di sociologo. Altri nomi nel primo numero sono i prof. Angelo Capecci e Roberto Gatti, filosofi, Pier Giorgio Lignani, presidente del Tar, Daris Giancarlini giornalista dell’Ansa, don Antonio Santantoni, scrittore e liturgista, don Remo Bistoni che meriterebbe un capitolo a parte per il ruolo che ha avuto e continua ad avere ne La Voce: per due anni firmò come direttore responsabile, non essendo Bromuri ancora iscritto all’Albo dei giornalisti. E qui, con rammarico, ci dobbiamo fermare, rinunciando a citare amici e collaboratori carissimi. Ma chi volesse sapere di più potrebbe consultare le annate rilegate.Troverà la storia della vita reale dell’Umbria, raccontata con amore.