Nel rito liturgico questa terza domenica di Avvento, dalla parola con cui inizia il brano della Lettera di Paolo ai Filippesi, è nota come la domenica Gaudete ed è consentito il paramento liturgico color rosaceo.
1. Le prime due letture sprizzano, infatti, di gioia, con invito a godere e ad essere allegri più volte ripetuto; deve esserci allora un grande motivo per dir così. Con un balzo gigantesco, non nuovo nella liturgia, si passa dalla prospettiva apocalittica della prima domenica ad un invito insistente alla gioia, alla festa, all’allegria; addirittura a un “Non angustiatevi per nulla”, quale che sia la vostra condizione di vita. Fissate invece la vostra attenzione su Dio: il Signore della pace è il promotore della gioia nei rapporti umani e nel cuore di ciascuno. Anzi, la vostra gioia – dice Paolo – si sveli attraverso due tipici atteggiamenti di gioia: l’affabilità del tratto e la serenità interiore.
La ragione di questo nuovo scenario, che la Chiesa crea nel ritmo della liturgia, è che nel gran caos della storia sta per essere da Dio inserita una Parola assolutamente inedita, che libera e salva: è il suo Verbo, e cioè la Parola plenaria di Dio, il suo dirsi sin dall’eternità, in un rapporto indicibile di generante (Padre) e generato (Figlio), attraverso il quale Dio entra nella nostra storia umana limitata e contingente, assumendo forma umana personale, e immettendo con ciò la sua potenza e la sua grazia nella nostra realtà umana per liberarla dal male e salvarla dal fallimento, nel rispetto sempre della nostra libertà.
In tal modo la Parola della promessa antica, che percorre tutta la Bibbia, giunge a compimento. Sarà dato a noi un bambino che sarà l’Emmanuel, il Dio per noi e con noi, e non più soltanto distante da noi. È questa la novità delle novità, l’evento che può bloccare ogni tristezza umana, più o meno colpevole, per generare gioia e speranza. In questo orizzonte di gioia può esserci più, allora, la parola del pessimismo radicale e della disperazione?
2. Il brano del Vangelo ci fa cambiare subito scenario: la gente che desidera questa novità di vita si presenta a Giovanni il battezzatore, il grande asceta del fiume Giordano che parla a tutti di conversione e di novità di vita per preparare la via del cuore all’Emmanuel veniente, e indica cosa chiunque debba fare per rendere concreta questa conversione. Chi va a chiedere consiglio a Giovanni è gente comune, devota, osservante della Legge. Tra loro però ci sono due gruppi di persone non proprio in odore di santità: un gruppo di esattori delle imposte (i pubblicani) e un gruppo di soldati mercenari. I consigli di Giovanni sono concisi e chiari, tutti orientati al tema della ricchezza: si tratta o di beni propri da condividere, o di beni altrui da rispettare; in ultima analisi, di attenzione e di amore verso il prossimo, motivate da ragioni umane: è infatti giustizia e condivisione, un comportamento di sobrietà e di solidarietà.
Non si tratta ancora di virtù soprannaturali e di motivazioni cristiane, ma lo spirito è già quello: povertà seria e carità autentica. A tutti Giovanni dice: condividete le vostre attuali “ricchezze”, cibo e tunica, con chi non le ha. Ai pubblicani, cioè agli esattori delle tasse da tutti mal visti, dice: non fate angherie per arricchirvi. Ai soldati, più avventurieri che uomini d’ordine, dice: contentatevi delle vostre paghe, e non estorcete nulla alla gente con la prepotenza e la paura. Sono indicazioni etiche e comportamentali ragionevoli, giuste, condivisibili. La fede dirà poi altro, a partire dalla nuova identità del prossimo, soprattutto se povero (“Amalo come ami te stesso, anzi come Cristo ha amato te!”); e dalla natura intrinseca dei beni terreni, strumenti a tutti destinati per l’uso e non per l’accumulo privato.
3. Giovanni, l’asceta del deserto, ha già indicato quindi una prima strada da battere per prepararsi al Natale, all’incontro con il Salvatore: conversione a vita onesta e a comportamenti di giustizia e di solidarietà. Non è ancora la carità di Cristo, ma siamo su quella strada. Per illustrare quanto detto con riferimenti storici concreti, basta guardare a quello che sta avvenendo oggi: con il crollo attuale delle banche viviamo una tragica situazione provocata dagli idolatri della ricchezza finanziaria e dell’accumulo, in spregio dello sviluppo della stessa economia reale.
Un tragico gioco di bolle di sapone, che fanno ancora più amara la sorte dei poveri, dei popoli colonizzati e sfruttati, degli immigrati che cercano altrove riparo per la loro indigenza. Abbiamo bisogno di riscoprire la destinazione sociale dei beni, e quindi d’impostare nuovi rapporti sociali in una società che non può e non deve idolatrare il “mammona” iniquo. Anche questo impegno, oltre a quello della carità vissuta comunitariamente, entra nella logica del preparare le vie per il Signore che viene.