Dove rinasce la musica

Foligno, chiesa del Suffragio: la ditta Pinchi restaura l’organo del ’700

Un groviglio di fori affondati nel legno, stecche consumate dallo sfregamento, meccanismi metallici ossidati ed inerti. La macchina del suono è uno scheletro di sapienza antica, sconosciuta alle dita dell’organista come alle orecchie dell’ascoltatore. “Mi dicevano che non c’era niente, che era andato tutto perduto! Ma ti sembra niente questo? Questo è tutto!”. Andrea mi mostra un moncherino di piombo bitorzoluto. “Qualche anno fa qualcuno è entrato nella chiesa e ha smontato le canne pensando che fossero d’argento. Ha lavorato con l’ansia di chi crede di aver scoperto un tesoro incustodito”. Ma, come tutti i tesori più grandi, la musica non si può possedere, non si può rubare, solo goderne perché è di chi l’ascolta più che di chi la produce. Dietro allo scheletro riesumato dalla chiesa del Suffragio, un operaio lavora di pazienza sui tubi di stagno e piombo. Un colpo leggero, uno sguardo, un soffio, un colpo di fiamma, uno sguardo, un soffio. Operaio è sostantivo divino. Colui che compie l’Opera. Mi sento come dentro ad un istante della Creazione. Andrea mi mostra i reparti del laboratorio, le foto di grandi organi appese alle pareti, San Giovanni Rotondo, Renzo Piano, la Corea. Mi guida con precisione di chirurgo tra mille oggetti di cui mi dice il nome, ed è sempre nome con la lettera maiuscola. Mi racconta dei pezzi di metallo che il nonno gli dava da modellare con la lima e mi dice di quanto sia diventata dura: trovare gente che si appassioni al lavoro, lavorare a costruire strumenti in un posto dove non c’è nemmeno una scuola per imparare a suonarli! Ma il mestiere è una vocazione che esige obbedienza. Come una profezia dalla quale non c’è via di scampo, se non la tempesta e un ventre nel quale ritrovare il senno. La fabbrica degli organi è un ventre di pesce che sputa musica sulla riva dell’umanità. Provo stupore ad osservare i mille condotti dove avviene il miracolo della trasformazione dell’aria in suono. E meraviglia davanti alle mani capaci di crearli. Con Andrea, ultima generazione della dinastia Pinchi, è come trovarmi di nuovo sull’erba del campo da rugby dove da ragazzi correvamo verso la stessa linea di meta. Solo che adesso la linea è più che altro una prospettiva e sappiamo entrambi che la palla non ci arriverà mai in modo definitivo. Parliamo della storia da conservare, di quanto ci sarebbe da restaurare anche nella musica, oltre che negli strumenti. Di quanto sia sottile il confine tra restauro e creazione. Di come sarebbe bello se ci fosse anche a Foligno una scuola di organo. Perché le mani dell’organaro sono incatenate a quelle dell’organista. E gli strumenti sono fatti per essere suonati, non per fare da arredamento nelle chiese. Ci passiamo la palla, come in un vecchio allenamento, dentro al laboratorio delle meraviglie, ventre di pesce nel quale la materia scomposta ritrova senno e senso e la musica rinasce. Anzi, forse risorge.

AUTORE: Willelmo Bartolini