La nobile semplicità dei santi

parola di vescovo

Niente vi è di più nobile della semplicità evangelica e, al contempo, niente vi è di più semplice della nobiltà della vita in Cristo. Semplicità e nobiltà sono due termini apparentemente distanti e tuttavia profondamente vicini; indicano quale sia il patrimonio genetico della santità, di cui è impossibile parlare in astratto, senza fare riferimento concreto al volto e alla vita di coloro i quali, avendoci preceduto con il segno della fede, risplendono nel “firmamento” dell’assemblea dei santi non solo come “membri eletti della Chiesa”, ma come “amici e modelli di vita”. I santi sono nostri amici perché, anzitutto e soprattutto, sono “amici del Signore”, l’Amico più intimo! Come non esiste la santità in astratto, ma nella concretezza di una vita salda nella fede, gioiosa nella speranza e operosa nella carità, così non è possibile parlare della santità al singolare, ma al plurale. La santità è, per così dire, un fatto singolare perché plurale; è Comunione dei santi e cioè “compagnia” spirituale in cui regna una profonda solidarietà: “il bene di ciascuno va a vantaggio di tutti e, viceversa, la felicità comune si irradia sui singoli”. Non si diventa santi da soli, ma “in cordata”, scalando le “pareti rocciose” delle beatitudini, che non sono dei “rifugi” che il Signore ha preparato per i suoi discepoli, ma delle “cime” su cui il Signore ha dato appuntamento ai suoi amici. La “catena montuosa” delle beatitudini non la si può esplorare senza camminare insieme, prestandosi vicendevole aiuto e mutuo soccorso. La storia della Chiesa mostra che i santi sono fioriti in tutte le stagioni e sempre a “grappolo”! Il giardino della santità, pur non essendo un orto botanico, conosce una straordinaria diversità di fiori cresciuti sempre uno accanto all’altro, uno insieme all’altro, uno più bello dell’altro. “Il bel giardino del Signore – scrive sant’Agostino (Sermo 304,14) – possiede non solo le rose dei martiri, ma anche i gigli dei vergini, l’edera di quelli che vivono nel matrimonio, le viole delle vedove”. Come non è possibile parlare della santità in astratto e al singolare, ma in concreto e sempre al plurale, così non si può esplorare la “galassia” della Comunione dei santi senza scorgere in essa una delle più grandi “meraviglie della multiforme grazia di Dio”, “unica fonte di ogni santità”. Nei santi – è la liturgia a ricordarcelo – “noi celebriamo l’iniziativa mirabile dell’amore di Dio”: è Lui, “mirabile nei suoi santi”, che riporta l’uomo alla santità della sua prima origine! Nella festosa, gloriosa e numerosa assemblea dei santi – è sempre la liturgia e sottolinearlo – “risplende la gloria di Dio e il loro trionfo celebra i doni e l’abbondanza della sua misericordia”. “Il loro grande esempio e la loro fraterna intercessione ci sostengono nel cammino della vita” e ci sollecitano ad “affrettare nella speranza” il nostro passo verso la Città del cielo, la santa Gerusalemme, pieno compimento della Chiesa pellegrina sulla terra, “indefettibilmente santa”, chiamata ad annunciare il Vangelo presentando le credenziali delle beatitudini. Con nobile semplicità!

AUTORE: Gualtiero Sigismondi