Adarabioyo Ibironke è una donna nigeriana, laureata in Sociologia e pedagogia, che da vent’anni vive in Italia. Il suo arrivo a Milano, dove lavora come mediatrice culturale, coincide con anni delicati per molte sue connazionali, vittime di una tratta che dai villaggi e dalle città dell’Africa le porta a prostituirsi sui nostri marciapiedi. Adarabioyo Ibironke, insieme ad altri volontari e associazioni, cerca di avvicinare queste donne per fornire aiuto sanitario, capendo però come “non ci si potesse limitare a distribuire preservativi, per poi vedere queste donne continuare a prostituirsi, ma bisognasse fare qualcosa per toglierle dalla strada”. Un’idea condivisa dalle associazioni, laiche e cattoliche, nate nei primi anni Novanta per il recupero delle donne vittime della tratta. Perché, come è lei stessa a dichiarare: “È difficile, ma dalla schiavitù della prostituzione si può uscire”. È successo così a Grace, una giovane nigeriana che ha avuto il coraggio di uscire da questo tunnel, grazie alla possibilità di ottenere il permesso di soggiorno offerta dalla legislazione italiana alle donne che denunciano i propri aguzzini. Una storia che Ibironke ha voluto raccontare in un libro intitolato Il coraggio di Grace (Prospettiva edizioni) e che la stessa autrice ha portato alla quinta edizione di “Volti d’Africa”, la rassegna organizzata a Como dall’associazione “Medici con l’Africa”, e dal Centro missionario diocesano e guanelliano, che si è conclusa lo scorso 20 ottobre. Un giro d’affari di 32 miliardi di dollari. Un viaggio attraverso una delle forme moderne di schiavitù che coinvolge nel mondo 6 milioni di persone, all’80% donne. Un problema che, come spiega Esohe Aghatise, fondatrice dell’associazione torinese Iroko onlus e consulente delle Nazioni Unite per la lotta alle nuove schiavitù, “riguarda ogni Paese del mondo”. “Perché – afferma – non c’è Stato che non sia coinvolto come Paese d’origine, di transito o di destinazione nella tratta”. Le cause principali della tratta, secondo le esperte, affondano le proprie radici nella povertà. Ci sono persino donne, in Africa, che arrivano a vendere le proprie figlie, spinte da un istinto di sopravvivenza. Anche sulle ragioni del perdurare di questa piaga non sembrano avere dubbi: troppi soldi ruotano attorno alla prostituzione. “Le Nazioni Unite – precisa Aghatise – parlano complessivamente nel mondo di 32 miliardi di dollari. Soldi che vanno ad arricchire organizzazioni criminali in ogni Paese che viene coinvolto nel traffico”. Un problema sempre più globale, perché, se negli anni Ottanta si è assistito al boom delle nigeriane, oggi sono aumentate le donne dell’Est, in particolare romene, ma anche brasiliane e cinesi. Mentre alla strada si stanno sostituendo appartamenti e fantomatici “centri massaggi”. Organizzazione efficiente. L’arrivo delle donne raramente avviene con mezzi di fortuna, come ci si potrebbe immaginare. Dimenticate le barche stipate di persone e i camion con i migranti nascosti nei cassoni. Nella maggioranza dei casi il viaggio avviene in aereo all’interno di un percorso preparato da organizzazioni criminali che, servendosi di passaporti falsi, portano le giovani in Europa dove le vendono alle “madame”, donne in molti casi provenienti dai Paesi delle vittime, che controllano il lavoro delle prostitute. Al momento della vendita le vittime contraggono con le protettrici un debito, oscillante tra i 50 e i 60 mila euro, che dovranno rifondare vendendo il loro corpo. “Si innesca così – spiega Adarabioyo Ibironke – un circolo vizioso da cui per le donne è quasi impossibile liberarsi. Oltre al debito, le donne devono infatti pagare quote per il vitto e l’alloggio, ma anche per l’affitto del tratto di strada in cui si prostituiscono. Non solo. Nel caso delle donne africane, per evitare la loro fuga, al momento dell’acquisto vengono costrette a sottoscrivere un patto con le protettrici che è basato sulle credenze wudu e sui culti tradizionali. Un tunnel fatto di superstizione e paura da cui è difficile uscire”.Una questione di diritti. Secondo le ultime ricerche condotte in Italia, la Lombardia, insieme al Lazio, con 5.880 casi rappresenta la regione con il maggior numero di donne in prostituzione. In Piemonte sono oltre 3.000. Anche sulle modalità con cui combattere la tratta le due esperte sembrano avere le idee chiare. “L’unico modo per sconfiggere il problema – dice Aghatise – è cambiare prospettiva, guardando ai clienti, perché solo bloccando la domanda e il flusso di soldi che vi ruota attorno è possibile cambiare le cose. Per questo è necessario partire dall’educazione dei giovani, sfatando un luogo comune: la prostituzione non è il lavoro più vecchio del mondo ma la forma di violenza e schiavitù più antica. Non è una questione morale ma di diritto, bisogna ridare alle donne la propria dignità di essere umani”. “Spesso quando dico pubblicamente che sogno una società senza la piaga della prostituzione – conclude Ibironke – mi viene detto che è solo un’utopia. Ma sono cristiana e non posso pensare altrimenti”.