Don Fabio Quaresima, un “prete comune”, racconta la sua Chiesa di prossimità

Un po’ restio a rilasciare interviste, monsignor Fabio Quaresima, per gli amici “don Fabio”, si sente un “prete comune”, con pochi meriti, anche se è cappellano di Sua Santità con il titolo di monsignore. Una nomina giunta per essersi distinto nel suo ministero come sacerdote dedito all’edificazione di chiese dalle “pietre vive”.

Come è avvenuto nella sua ultima e più impegnativa comunità di fedeli guidandola dal 1996 al 2023, quella della vasta zona periferica e industriale, tra Perugia e Corciano, delle storiche piccole (un tempo) parrocchie di Chiugiana, Olmo e Fontana.

Alle “pietre vive” don Fabio, per necessità pastorali, ha dovuto aggiungere il cemento armato, come testimonia la nuova chiesa interparrocchiale Santa Maria della Speranza in Olmo, consacrata quasi dieci anni fa, il 3 ottobre 2015. Don Fabio Quaresima è stato per anni il vicario episcopale della II Zona pastorale dell’Arcidiocesi, godendo della stima e della fiducia dei suoi confratelli nel sacerdozio e di tanti fedeli.

Ordinato sacerdote da Paolo VI

«Perché intervistarmi?», ci ha chiesto un po’ riluttante all’idea. E noi, sorprendendolo nella puntuale risposta: «Ha pur qualcosa da raccontare a quasi 55 anni dalla sua ordinazione sacerdotale nella Basilica vaticana di San Pietro».

Don Fabio Quaresima, già questa è una storia non comune a tutti i sacerdoti…

«In effetti è stato un immenso dono del Signore, quello di essere ordinato prete la domenica di Pentecoste, il 17 maggio 1970, da papa Paolo VI. Quell’anno il Santo Padre compiva 50 anni di sacerdozio e per l’occasione ordinò presbiteri 268 diaconi in San Pietro, provenienti da tutte le diocesi d’Italia e dall’estero. Ringrazio il Signore, per tutta la mia vita, per questo evento di grazia!».

Anche il suo cognome non è così comune…

«Fin dai primi anni del seminario ognuno che mi conosceva mi diceva: “Con questo cognome non puoi fare altro che il prete”, rallegrandomi perché, forse, era quello che il Signore voleva da me. La vocazione l’ho avuta fin da fanciullo, maturata in casa e in parrocchia.

Sono nato, a Perugia, il 21 agosto 1946, in una frazioncina a 4 km dal quartiere di Monteluce, detta Cava della Breccia, da babbo Giocondo, operaio della fabbrica di fiammiferi ‘Saffa’, e da mamma Teresa Darena, una brava sarta.

Sono entrato in seminario, a Montemorcino, all’età di 12 anni, in seconda media. Lì conobbi santi sacerdoti rettori e formatori tra cui don Antonio Fedeli, don David Cappuccini, monsignor Carlo Urru, poi vescovo, don Arturo Gabrijelcic, don Nello Palloni, don Guido Giommi… A tutti loro devo essere sempre riconoscente.

All’età di venti anni sono entrato nel Seminario Maggiore “Pio XI” di Assisi per i quattro anni di Teologia. Erano gli anni roventi del’68, ma anche i bellissimi anni del Concilio Vaticano II».

È un prete del post Concilio, testimone di questo rinnovamento della Chiesa…

«Certamente, è stato un vento di novità per tanti giovani sacerdoti e per le comunità di fedeli che ci venivano affidate. Ricordo il mio primo incarico pastorale, di vice parroco a Ponte San Giovanni con don Annibale Valigi, che mi iniziò alla vita nel mio ministero sacerdotale dal 1974 al 1977. Nello stesso anno fui nominato parroco a Villa Pitignano dove per sei anni ho vissuto con soddisfazione in questa parrocchia di periferia, semplice e in formazione vicino all’importante centro di Ponte Felcino.

Dal 1983 al 1996 sono stato parroco di una delle più belle cittadine dell’Umbria: Castiglione del Lago. Un bel borgo con l’ospedale e una grande chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria Maddalena, onorandola ogni anno con una processione notturna sul Trasimeno. È una parrocchia con un significativo complesso: la “Casa del Giovane Andrea Giardini” fondata nel 1958 da un santo sacerdote, don Renato Fressoia».

Don Quaresima un “prete vulcanico” legato al territorio

Quando è arrivato nella sua ultima parrocchia dove, se lo lasci dire anche a nome di tanti parrocchiani giovani e adulti, è stato un “prete vulcanico” per idee, progetti ed opere realizzate?

«Nell’ottobre del 1996 iniziai la mia esperienza pastorale a Chiugiana di Corciano, inviato come parroco dall’arcivescovo Giuseppe Chiaretti su indicazione del mio predecessore, don Gianfranco Sartucci, nominato canonico della cattedrale.

Poco dopo anche il parroco delle due viciniori parrocchie di Olmo e Fontana, padre Abele Brunetti, fu trasferito e queste furono aggregate a quella di San Pietro in Chiugiana, formando un’unica Unità pastorale a cui poi si aggiunse quella di Corciano.

Questa nuova esperienza fu diversa dalle altre, perché le tre piccole parrocchie, molto vicine, avevano sì un centro storico pur piccolo in ogni paese, ma con complessive 6.000 persone che in pochi anni divennero 9.000 (circa 2.700 famiglie)».

La configurazione di queste parrocchie, pur di periferia, è sempre stata diversa con chiese caratteristiche e di valore storico-artistico…

«Se vogliamo è la caratteristica di questa Unità pastorale, poiché Fontana, che insiste nel Comune di Perugia, è parrocchia di collina e campagna con ville, seconde case, bosco e faggeti. La chiesa parrocchiale dedicata a San Martino di Tours, costruita nel secolo XIII, fu costituita pievania perché era l’unica chiesa della zona ad avere il fonte battesimale.

Nelle pareti ci sono affreschi dei secoli XIV, XVI e XVII, tuttora abbastanza visibili per un iniziale restauro della Soprintendenza. Nel ‘600 una parete a volta di abside, dietro l’altare principale, nascose una crocifissione del primo medioevo (ne sono visibili solo pochi saggi effettuati dalla Soprintendenza). La chiesa è dotata di vari ambienti per la casa parrocchiale, ma tutti da restaurarsi nei servizi, pavimenti… Solo il tetto e gli infissi sono stati rifatti intorno al 2000».

Don Fabio, descrive questi luoghi come se si trovasse al loro interno… Li porta nel cuore, come le persone che li frequentano…

«Ho trascorso a Chiugiana, Olmo e Fontana più della metà dei miei anni di sacerdozio. Olmo, residenziale periferia con famiglie che gravitano su Perugia, che, pur risentendo del movimento caotico provocato dal via vai di gente per lavoro, è accogliente con una piccola chiesa dedicata a San Pellegrino con un dipinto raffigurante la Madonna Annunziata del secolo XVI.

Dietro alla piccola chiesa c’è il complesso “Opera Pia San Martino di Fontana” che ospita diverse scuole aperte nel lontano 1946 e tutt’oggi frequentate. Un complesso realizzato da don Dario Pasquini, parroco di Fontana dal 1940 al 1989. Lui sì che era un sacerdote vulcanico, molto attento alle giovani generazioni, alla loro educazione e formazione. Nel mio piccolo, ho cercato di proseguire la sua opera meravigliosa.

Ritornando al movimento caotico di questi centri abitati, che mi ha fatto sempre molto riflettere, perché in prossimità di una delle tre aree industriali e commerciali più grandi del Perugino, non si può trascurare Ellera Umbra, la frazione più popolosa di Corciano. Pur non essendo parrocchia, è il centro principale di quella di Chiugiana composta da due parti ben distinte.

La prima è caratterizzata da un centro storico di una certa importanza, sulla collina attorno alla chiesa parrocchiale, chiamato “Il Castello”, che anticamente serviva da “guardia” della sottostante strada di collegamento tra il Trasimeno e Perugia.

Oggi è abbastanza spopolato, ma nel passato ha avuto gloria e notorietà specie con il suo legame con il territorio di Chiusi o “Chiugi” da cui Chiugiana. La chiesa dedicata a san Pietro Apostolo risale al tempo dell’episcopato perugino del cardinale Gioacchino Pecci, poi papa Leone XIII, una delle 53 chiese da lui fatte edificare nella nostra diocesi.

La seconda parte è a valle, identificandosi con la stessa Ellera, all’inizio della vasta area industriale, in forte espansione demografica con i suoi non trascurabili problemi sociali, occupazionali e di integrazione.

L’opera più impegnativa di don Fabio

Don Fabio Quaresima, è noto a molti il suo impegno con il gruppo Scout “Corciano 1” e con i giovani, come anche nel promuovere opere di carità. Ha dato vita anche ad un notiziario settimanale intitolato “Uno e Trino: Insieme”. Vuole raccontarci la sua opera che l’ha assorbito di più come parroco?

«È la costruzione della chiesa Santa Maria della Speranza in Olmo. Quest’anno ricorre il decimo anniversario della sua consacrazione avvenuta il 3 ottobre 2015. È nata per l’esigenza di sopperire pastoralmente a quella porzione di diocesi che è l’attuale decima Unità pastorale formata dalle citate parrocchie con complessivi 12.000 abitanti.

Già i miei predecessori, don Fonasco Salvatori, don Gianfranco Sartucci e padre Abele Brunetti pensavano di costruire una chiesa unica per queste comunità parrocchiali.

La posa della prima pietra avvenne nel 1999 per poi iniziare i lavori nel 2005 e terminati nel 2009, ma con un presbiterio e i luoghi liturgici provvisori che determinarono l’inaugurazione della chiesa, ma non la sua consacrazione.

Questa avvenne solo nel 2015, con la realizzazione dei luoghi liturgici ad opera dell’artista Raoul Gabriel e sotto l’esperta guida del francescano padre Vittorio Viola, oggi vescovo.

Il progetto della Chiesa fu curato dall’architetto Bruno Signorini e figli con il caratteristico campanile alto 30 metri, poco distaccato dalla stessa chiesa, con quattro simboli alla sommità: pani e pesci, croce, giglio e tau.

La Fondazione Brunello Cucinelli ha donato le campane elettrificate, mentre l’organo della ditta Morettini è stato restaurato dal maestro Eugenio Becchetti.

Il crocifisso sull’abside è stato donato dal nostro arcivescovo Giuseppe Chiaretti e realizzato da un giovane di Ferro di Cavallo, Luca Santanicchia.

La Via Crucis in maiolica di Deruta è opera dell’artista ceramista Claudio Monotti».

Il complesso di Santa Maria della Speranza è molto funzionale, come è stato salutato dai fedeli?

«Oltre alla chiesa c’è l’annessa casa per i sacerdoti, il salone parrocchiale, le sale per il catechismo, l’oratorio, il centro di ascolto Caritas, l’ampio sagrato con l’area verde e i parcheggi.

Soprattutto il grande concorso di popolo nella celebrazione di consacrazione della chiesa, presieduta dall’allora vescovo ausiliare Paolo Giulietti, è stato un segno del desiderio di sentirsi un unico popolo di Dio che loda il Signore con una unica voce in un unico luogo comunitario.

La costruzione di questa chiesa è stato per me uno dei più grandi eventi della mia vita, per cui mi sono sentito veramente sacerdote e pastore. Il mio successore, don Antonio Sorci, saprà custodirlo e valorizzarlo al meglio».

Don Fabio, lei da circa due anni è canonico della cattedrale: da Santa Maria della Speranza alla Madonna delle Grazie, è in buone mani…

«In conclusione vorrei ringraziare il Signore perché mi ha fatto vivere da prete in tante circostanze sempre tenendomi sulle sue braccia di Misericordia, facendomi incontrare comunità in evoluzione con cui ho trascorso di vero cuore una parte della mia vita.

Sono certo della presenza materna di Maria Santissima nostra Madre, che invocherò sempre specialmente come Santa Maria della Speranza.

Ora che sono canonico della cattedrale la invoco anche con il titolo che sta a cuore ai perugini: Madonna delle Grazie o meglio Madonna della Grazia, grazia che ci ha dato in Gesù Cristo. Lode a Te, Signore Gesù, ora e sempre. Amen!».

Riccardo Liguori

 

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