La “grazia” di Biden: un colpo alla democrazia

Poche settimane fa ho commentato la cancellazione del reato di “abuso d’ufficio” dal nostro codice penale. Si capiva, credo, come non fossi d’accordo con questa novità. Il lettore può dunque immaginare il mio sgomento quando ho sentito che il presidente Biden, giunto ormai poco gloriosamente alla fine del mandato – che segna il trionfo del suo avversario – ha concesso la grazia presidenziale al proprio figlio, accusato di vari reati. Un caso lampante di interesse privato in atti di ufficio (era questa la denominazione originaria del reato di abuso di ufficio).

In sostanza una cosa che – codice penale a parte – una persona perbene non dovrebbe fare comunque. Ma, anche secondo una logica politica più cinica, il gesto di Biden appare devastante. Perché costituisce uno splendido precedente che consentirà a Trump di usare il potere di grazia per tutte le nefandezze che vorrà, comprese le proprie. Su questi aspetti la legge americana è molto elastica.

In Italia la grazia presidenziale deve avere la proposta e la controfirma del ministro della giustizia, e non può essere data prima che ci sia una condanna definitiva; il potere presidenziale di grazia non può e non deve interferire con il giudizio dei giudici, la grazia può rimettere la pena ma il giudizio e la condanna restano. In genere si loda la costituzione americana perché è stata la prima costituzione moderna a costruire un sistema di bilanciamento e controllo reciproco fra i poteri dello stato; che è lo scopo di ogni costituzione che meriti questo nome.

Ma quando è stata scritta nel 1776, la Costituzione americana si curava essenzialmente di mediare e bilanciare il potere del presidente federale con quello degli Stati federati: la visione centrale contro gli interessi locali. La soluzione era sottomettere le decisioni più importanti del presidente all’approvazione del senato, nel quale siedono, appunto, i portavoce degli Stati. L’arbitro finale è la corte suprema composta di nove giudici a vita, scelti dal presidente ma approvati, anche loro, dal senato. Perfetto. Ma ora che la vera competizione non è più quella fra il centro e la periferia, ma quella fra l’uno e l’altro dei due grandi partiti, se il Trump di turno ha, come avrà, la maggioranza in senato, deciderà tutto quello che vuole; e avrà, come ha, la maggioranza anche nella corte suprema. Con tanti saluti a Montesquieu.

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