Dal 2019 uno sguardo sul futuro delle diocesi umbre

“Le Chiese diocesane dell’Umbria hanno pensato già nel 2019 a un’assemblea regionale che ha raccolto gli operatori pastorali per una giornata di conoscenza innanzitutto, e poi studio, condivisione, riflessione con uno sguardo al futuro. Lì sono stati delineati alcuni punti centrali da realizzare nel cammino pastorale delle diverse Chiese locali. Poi è arrivata la pandemia che ha ritardato il cammino, però nel 2022 abbiamo voluto riprendere il lavoro fatto allora”. Il presidente della Conferenza episcopale umbra, l’arcivescovo di Spoleto-Norcia Renato Boccardo, non nasconde una punta di orgoglio per il fatto che le diocesi della regione di san Francesco e san Benedetto avessero già anticipato gli incontri e le assemblee in stile sinodale che da un triennio stanno cambiando il volto della Chiesa.

Dal 2019 ai giorni nostri. Proprio sabato scorso, ad Assisi le Chiese umbre si sono ritrovate quasi per una “verifica” pastorale di questo cammino iniziato cinque anni fa…

“Esattamente: una giornata di nuovo con i responsabili dei diversi settori della pastorale nelle nostre diocesi per guardare non tanto al cammino fatto, che ormai è parte integrante della nostra storia, ma soprattutto con lo sguardo al futuro immediato, che è il Giubileo. In Umbria, nel 2026 vivremo anche il centenario della morte di san Francesco e questo sarà un altro momento di grazia. Dunque, ci fermiamo un attimo per proiettarci in avanti e riprendere questo percorso già pensando a quella che potrà essere una ulteriore Assemblea ecclesiale regionale, probabilmente nel novembre del 2025, che farà tesoro anche del documento finale del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, che dovrà essere approvato dall’Assemblea generale dei vescovi nel maggio prossimo”.

Tornando al Cammino sinodale della Chiesa italiana, alle sue fasi e ai suoi temi, come è stato vissuto in parallelo con l’altro cammino già avviato qui in Umbria?

“Ogni diocesi ha avuto, com’è giusto che sia, la sua peculiarità nell’affrontare i diversi temi suggeriti anche per ognuno dei primi due anni, ora per il terzo, del Cammino sinodale italiano. Quello che mi sembra essere comune, quasi come una linea trasversale, è l’interesse suscitato forse più nei laici che non nei sacerdoti. In particolare, la scoperta che la differenza non è una minaccia, ma in realtà è una grande ricchezza. Mettersi insieme, raccontarsi, raccontare la propria esperienza di fede, raccontare come si annuncia il Vangelo nella situazione concreta, vedere che ognuno è animato da una passione particolare per rendere vivo e comunicativo il messaggio del Vangelo oggi: questa si è rivelata una grande ricchezza e ha suscitato certamente molte attese. La responsabilità adesso è non deludere queste attese. Non si tratta di fare rivoluzioni, quanto di ritrovare la freschezza dell’annuncio evangelico, che sembra essere oggi più che mai necessaria per questa nostra società sempre più disorientata, paurosa e superficiale.

Pensando proprio a queste sue ultime parole – dal punto di vista del credente “semplice”, che non ha ministeri né incarichi pastorali – che ricaduta possono avere i cammini ecclesiali locale, regionale, nazionale, universale?

“A me piacerebbe che – al di là di tutte le dichiarazioni, i documenti, gli orientamenti, ecc. – rinascesse nelle nostre comunità la voglia di stare insieme, cioè di far vedere che oggi, nella complessità di questo nostro mondo, il Vangelo può ancora dare senso all’esistenza. Credo sia il messaggio più urgente che noi dobbiamo tentare di trasmettere. Giustamente, non facendo riferimento esclusivamente ai cosiddetti operatori pastorali o a chi ha ricevuto un ministero, guardiamo le nostre comunità, le nostre parrocchie che fanno fatica, che si lamentano continuamente perché i giovani non ci sono, perché gli anziani non si possono spostare da una parte all’altra per partecipare alla celebrazione domenicale, poi le famiglie, il catechismo… Ecco, non possiamo nasconderci dietro un dito: in queste situazioni di fatica, proviamo a far vedere che il Vangelo è fecondo, che porta frutto. In modi diversi, non possiamo pretendere di uniformare il tutto, di fare tutti la stessa cosa, nello stesso modo, nello stesso tempo. Concentriamoci su alcune cose fondamentali ed essenziali, e proviamo a renderle ‘parlanti’, direi. Qualcosa che possa interpellare i nostri contemporanei fino a chiedersi: ma chi te lo fa fare? Ma perché tu vivi così? Credo che se noi riuscissimo a suscitare questa curiosità e questo interesse già avremmo fatto una grande operazione”.

Da una parte i vescovi, i sacerdoti, i ministri ordinati, dall’altra il popolo di Dio. Sono pronti gli uni e gli altri a lavorare sempre più con questo stile sinodale di cui si parla ormai da tre anni?

“Il Papa ci parla spesso di conversione, cioè di cambiamento. Noi preti dobbiamo cambiare la mentalità perché siamo stati formati per essere responsabili. Poi naturalmente questa responsabilità ognuno la esercita secondo i propri carismi, però sentiamo fortemente la responsabilità di essere guida della comunità. I fedeli laici sono stati formati, o forse ‘deformati’, dal fatto di essere guidati. La parrocchia non è affidata esclusivamente al prete. Per il battesimo che prete e laici hanno ricevuto, la parrocchia vive grazie all’impegno di tutti. Nessuno è inutile, ognuno ha il suo posto e – se quel posto che è il mio non lo occupo – rimane vuoto, non c’è qualcun altro che lo possa fare al mio posto. Credo che noi dobbiamo recuperare proprio questa visione d’insieme”.

 

 

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