Il dibattito sullo ius scholae si è riacceso nell’ultimo mese grazie alle dichiarazioni del vicepremier e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, che ha apertamente sostenuto la necessità di introdurre questa riforma, nonostante non fosse prevista nel programma del governo. “È quel che ha bisogno il Paese. L’Italia è cambiata”, ha dichiarato Tajani.
Sono oltre un milione gli italiani senza cittadinanza che aspettano con ansia la decisione della Camera dei deputati in merito alla proposta di legge sulla cittadinanza, per introdurre lo ius scholae. Questa riforma permetterebbe di concedere la cittadinanza italiana ai figli di migranti, nati in Italia o arrivati nel Paese entro i 12 anni, senza dover attendere la maggiore età. Basterebbe aver frequentato almeno cinque anni di scuola in Italia per poter accedere a questo diritto.
Tuttavia, nonostante le numerose proposte presentate negli anni per modificare i meccanismi di accesso alla cittadinanza, ogni tentativo è stato finora fallimentare. La legislazione attualmente in vigore in Italia è basata sullo ius sanguinis, che prevede che un bambino possa essere considerato italiano solo se lo è almeno uno dei genitori. Per tutti gli altri, privi di tale requisito, la cittadinanza può essere richiesta solo al compimento dei 18 anni. Ma anche dopo il raggiungimento della maggiore età, il percorso per ottenere la cittadinanza è lungo e spesso pieno di ostacoli burocratici, lasciando molti giovani ancora in attesa del riconoscimento di questo diritto.
Le testimonianze di coloro che vivono questa condizione emergono con forza nel dibattito, per questo abbiamo chiesto ad alcuni dei giovani del progetto “Voci dal mondo” di raccontarci la loro esperienza in fatto di cittadinanza.
Khelia, una ragazza di 27 anni di Perugia, figlia di immigrati africani, riflette sulla fortuna di essere nata da genitori che avevano già ottenuto la cittadinanza italiana. “Non credo che essere cittadini italiani dipenda dal merito o dagli studi. Sarebbe giusto che ragazzi come me, dopo un ciclo di studi, possano ottenerla”, afferma Khelia, evidenziando le disparità di trattamento tra chi, come lei, è nato da genitori già cittadini, e chi invece deve affrontare un lungo percorso per ottenerla.
Ouns, 25 anni, nata in Italia da genitori tunisini, sottolinea l’urgenza di riformare una legge ormai inadeguata ai cambiamenti della società italiana. Dopo aver frequentato la scuola italiana per dieci anni, ha finalmente ottenuto la cittadinanza a 18 anni, ma si chiede perché ciò non possa avvenire prima.
“La cittadinanza non deve essere considerata un premio, ma un riconoscimento naturale per chi cresce e si forma in Italia”, afferma.
Infine, la storia di Janeth, nata in Ecuador e cresciuta in Italia, evidenzia le difficoltà pratiche legate alla mancanza di cittadinanza, che l’hanno penalizzata in diverse occasioni, come quando ha perso la possibilità di partecipare a uno stage a Londra a causa dei tempi lunghi per ottenere un visto.
“Siamo italiani di fatto, ma non di diritto. Cosa significa davvero appartenere a un Paese? Quante prove dobbiamo superare prima di essere riconosciuti come cittadini italiani?”, si chiede Janeth, che ha ottenuto la cittadinanza solo all’età di 27 anni, dopo un percorso lungo e frustrante.
Come funziona la legge sulla cittadinanza oggi?
La legge attuale è del 1992 e prevede che la cittadinanza venga ereditata alla nascita se almeno uno dei due genitori è italiano ( ius sanguinis , cioè “legge del sangue”).
Ad oggi un bambino nato in Italia da genitori stranieri può richiedere la cittadinanza solo dopo i 18 anni e solo se ha vissuto ininterrottamente in Italia. Gli altri cittadini stranieri, invece, possono ottenerla dopo una residenza di almeno dieci anni.
Che differenza c’è tra ius scholae e ius soli?
lus scholae: la cittadinanza viene assegnata dopo aver frequentato un ciclo studi per un determinato periodo di tempo.
lus soli: la cittadinanza del Paese in cui si nasce viene ottenuta automaticamente.
Non è la prima volta che la politica parla di riforma della legge sulla cittadinanza. Nel 2015 la Camera aveva approvato una legge che prevedeva una forma di ius soli , ma il testo non venne mai approvato dal Senato. Nella scorsa legislatura, il Parlamento ha discusso di ius scholae, ma la legge non è stata approvata.
Valentina Russo