Magistrati e politici, tutti sotto la legge

Ancora una volta, si è aperto uno scontro fra il Governo e la magistratura. Perché il Governo aveva disposto che un certo numero di immigrati richiedenti asilo fosse trattenuto, in stato di semidetenzione, in un centro di soggiorno. Tutti sapevano che un provvedimento di questo tipo, che incide sulla libertà personale, per essere eseguito ha bisogno di essere convalidato dall’autorità giudiziaria. La quale si deve pronunciare sulla base di regole assai complesse e delicate – molte delle quali stabilite dalla normativa dell’Unione Europea e interpretate dall’apposita Corte di Giustizia.

Dal momento che l’approvazione della magistratura era necessaria – su questo non c’è dubbio – si doveva pur mettere nel conto la possibilità che il magistrato competente dicesse no; e così è stato. Non a capocchia; il provvedimento è motivato. È una decisione che tecnicamente può essere giusta o sbagliata; è consentito appellarsi, e qualcun altro deciderà.

Quello che assolutamente non si può dire è che la magistratura sia andata fuori della propria sfera di competenza e abbia invaso quella del potere esecutivo. Una delle leggi più importanti della storia d’Italia, la n. 2248 del 20 marzo 1865, ancora in vigore, stabilisce che quando sono in gioco i diritti civili e politici delle persone – e questo è il caso – i giudici possono (devono) “disapplicare” gli atti del potere esecutivo se non sono conformi alle leggi. E non importa se il potere esecutivo è eletto dal popolo e i giudici no. Si chiama principio dello “stato di diritto” e della separazione dei poteri, ovvero del loro bilanciamento. Lo ammettevano anche Vittorio Emanuele II e i suoi ministri, i quali erano di quel partito che è ricordato con il nome – guarda un po’ – di “destra storica”.

E poi, nel 1865 non esistevano ancora l’Unione Europea, né le carte (e le corti) sovranazionali per la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo; cioè quei superpoteri che hanno il compito di garantire il rispetto dei diritti di chiunque nei confronti degli stati, al di sopra persino delle legislazioni dei singoli paesi, se occorre. Poi, la singola decisione di un singolo magistrato può essere tecnicamente discutibile; ma i princìpi rimangono. È anche vero che i magistrati come persone dovrebbero stare più attenti, quando parlano di politica in privato, a non fornire pretesti a chi li accusa di essere di parte.

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