Immigrati tra cittadinanza formale e cittadinanza attiva – – La “provocazione” di Rolando Marini/2

Parlare di cittadinanza rispetto a chi non ce l’ha, come molti immigrati, sembra fuori luogo. Sembra, ma non è esattamente così.

Facciamo un percorso attraverso alcuni tipi di cittadinanza riguardanti gli immigrati, o meglio i cittadini non italiani e non comunitari residenti da noi. Anche perché è un problema che si porrà davanti ai nuovi flussi, seppure sembrino diversi dal passato.

Nati in Italia, perché no ius soli?

La cittadinanza italiana viene raggiunta secondo regole ben precise. Alcuni ne chiedono una riforma. Di alcune di queste si è parlato diverse volte nel dibattito politico degli anni recenti, specialmente in ordine alla possibilità di riconoscerla ai minorenni, ad esempio secondo lo ius soli , cioè per il fatto di essere nati in Italia. Un dibattito parlamentare conclusosi in modo confuso alla fine del 2017. Ma nel 2022 si è arenato in Parlamento anche lo ius scholae .

Afferma Save the Children Italia nel suo sito: “Quello che chiediamo è uno ius soli condizionato dalla residenza legale dei genitori in Italia, come già accade in molti altri Paesi europei”. Ancora Save the Children ci dice che le nuove generazioni esprimono una “domanda di appartenenza” alla comunità nazionale che rimane solo parzialmente soddisfatta.

In base al rapporto ormai pluriennale che ho con studenti di famiglie straniere che hanno fatto tutto o quasi tutto il percorso di studi in Italia e sono venuti all’università, posso dire che quella che giuridicamente si chiama naturalizzazione è nei fatti. Nessuno può ragionevolmente pretendere che lascino alle spalle o nascondano elementi identitari dei paesi e delle culture dei genitori. Ma loro hanno le basi solide per sentirsi ed essere cittadini europei.

Integrazione non è “assimilazione”

Pensando agli immigrati residenti, però, osservo che ci sono altre forme di appartenenza a una comunità civile (a una civitas ) che vanno oltre l’acquisizione formale della cittadinanza nazionale. E riguardano il modo di porsi attivamente dentro una comunità e interagire con gli altri, all’interno di un quadro di regole scritte e – soprattutto non scritte. Tutte quelle forme, dal vivere quotidiano spicciolo in avanti, che congiungono la partecipazione alla responsabilità.

Certo, arriviamo a un punto delicato del discorso, poiché si rischia di disegnare un quadro di doveri attesi, come se si ponessero condizioni e requisiti da soddisfare.

Parlo in effetti di processi d’integrazione, parola a molti invisa perché richiama tendenze a un’assimilazione di tipo etnocentrico. Ma il problema sostanziale consiste nell’adesione o meno ai regimi normativi di una società, mantenendone il pluralismo e però preservandone la coesione. È il problema dei problemi nella prospettiva della società multiculturale.

Oltre la cittadinanza: membri di una comunità civile

Ma dico, proseguendo a esercitare una funzione critica: in qualsiasi città occorre che venga rispettato un patto di convivenza su cui tutti i cittadini, indistintamente, sono chiamati a impegnarsi. Fare e fare bene la raccolta differenziata, rispettare gli spazi urbani, seguire le regole sanitarie (ad esempio le vaccinazioni), sapere come funzionano gli uffici pubblici, tenersi informati, ecc. Per non parlare di altri aspetti, più avanzati, come il consumo consapevole, la difesa dell’ambiente, la solidarietà sociale in senso esteso. Utopia? Non direi.

Il fatto è che molti immigrati continuano a collocarsi dentro uno spazio relazionale e sociale in cui esiste solo lavoro, parentele o amicizie di gruppo nazionale (o religioso) e collegamento con la famiglia lontana. Uno spazio riservato e non esposto all’impegno civico, spesso alimentato dall’isolazionismo delle comunità migranti. Problema noto della figura dello straniero nelle scienze sociali: partecipazione limitata alla vita civile della società “ospitante”. Riserva mentale, con l’aggravante dell’autogiustificazione.

Con il rischio, già concreto, di accentuare la percezione di una società patologicamente frammentata, in cui le differenze diventano un fattore disgregante piuttosto che un’opportunità.

Rolando Marini
ProRettore Università per Stranieri di Perugia

(Intervento tenuto al secondo incontro di Voci dal mondo)

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