A SportLab è tempo di “bilanci” dopo la 18a edizione della “StarCup”, il torneo di Calcio a 5 delle realtà oratoriali e di associazioni e movimenti della diocesi, svoltasi dal 4 all’8 settembre, presso il Centro Sportivo di Santa Sabina. Si sono sfidate 124 squadre maschili e femminili raggruppate in tre categorie: “StarCup”; “MiniCup”; “YouthCup”. In totale sono scesi in campo circa 800 atleti delle superiori e 360 delle medie ed elementari, con la presenza di 300 alleducatori e 200 volontari. I tifosi, amici e familiari, giunti un po’ da tutta la diocesi, nelle cinque giornate della “StarCup2024”, sono stati più di un migliaio al giorno sfiorando le duemila nella giornata conclusiva, l’edizione più seguita del post-Covid.
I numeri non sono il “cuore” della “StarCup”
Lo precisa Leonardo Marchetti, presidente di “SportLab Perugia”, uno studente perugino di 25 anni del corso di Laurea magistrale in Letteratura e Filologia, nel dire che «la “StarCup”, un evento che unisce sport e fede, è soprattutto occasione di incontro tra giovani e meno giovani, dove si pratica uno sport sano insieme alla preghiera con l’adorazione eucaristica animata, dove si seguono le catechesi per crescere nella fede da trasmettere agli altri e alla società in cui viviamo, ma anche dove nascono i primi amori, le conversioni e le vocazioni alla vita matrimoniale, al sacerdozio e alla vita consacrata. Io sono testimone di vocazioni maturate alla “StarCup”.
Per non parlare delle conversioni di giovani che mi dicono: “Ho sentito una parola bella, perché ho visto una persona che ci ha fatto un bel sorriso, perché mi sono sentito accolto, perché quel giorno ho sentito che il Signore cercava me”. Testimonianze come queste scaldano il cuore e fanno capire che abbiamo centrato il punto».
Leonardo, quale è la “mission” di questo evento sportivo?
«Il motto della “StarCup” è sempre stato “il primo torneo che si gioca dentro e fuori dal campo”.
La mission della StarCup
L’obiettivo è far giocare i ragazzi fuori, cioè fare in modo che finito l’evento escano, vivano, vedano, facciano conoscenze, tessano relazioni, conoscano i ragazzi dell’altra squadra e si fermino a fare merenda insieme. Abbiamo visto tante volte che sono nate anche belle amicizie. Poi, ovviamente, per noi la speranza è sempre che loro ricevevano una testimonianza, cioè che il nostro servizio, il servizio degli alleducatori, la testimonianza che Dio nella nostra vita ci ha toccato e che, quindi, anche loro se vogliono possono farsi toccare da Dio. È difficile descrivere la “StarCup” a chi non la vive, perché sono cinque giorni che passano in un lampo, sono come un unico grande giorno in cui vediamo che il Signore lavora nel cuore fino a far nascere delle conversioni e vocazioni».
La vostra opera rientra nella “nuova evangelizzazione-missione” tanto a cuore a Papa Francesco e al Vescovo Ivan, che ne parla nella sua nuova Lettera pastorale “Sentieri di speranza”…
«La “StarCup” è un “sentiero di speranza” in cui noi cerchiamo di fare l’evangelizzazione con i ragazzi lavorando tanti mesi per capire quale sia il modo migliore per fare l’annuncio. Ovviamente le realtà che loro vivono sono varie, da quelle con famiglie, sacerdoti, catechisti e animatori motivati a quelle “lontane”. Per questo siamo Chiesa in “uscita” con l’obiettivo di andare incontro agli altri come ci incoraggiano il Papa e il Vescovo. Non possiamo aspettarci che siano i giovani a venire da noi, ma dobbiamo costruire qualcosa per loro chiamandoli a farlo insieme e a quel punto qualcosa nascerà».
Mons. Maffeis ha chiamato anche “SportLab” a vivere la “Missione Giovani 2024”?
«Certamente, è un annuncio importante che ci ha subito messo in moto preparandoci spiritualmente nella preghiera e nella organizzazione logistica. Questo sarà un ulteriore tassello del nostro percorso, cioè l’annuncio non resta dentro la “StarCup” ma esce».
La mission di “SportLab” è evangelizzare con lo sport, ma non è solo “StarCup”…
«Siamo un’associazione di 18 ragazzi volontari provenienti da diverse parrocchie e percorsi di fede (Comunità Magnificat, Cammino Neocatecumenale, Scout…), con due sacerdoti, don Luca Delunghi, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale giovanile, e don Daniele Malatacca, vice direttore del Coordinamento Oratori Perugini.
SportLab si presenta
La varietà del gruppo è la sua ricchezza, che ci permette di avere anche una sensibilità diversa sia all’annuncio della Parola che alle modalità dell’annuncio. Soprattutto, cerchiamo di costruire una missione educatrice per i ragazzi che abbia come cuore quello di portare il messaggio che esiste una Chiesa bella, attiva, giovane. Ci occupiamo durante l’anno anche dell’“Oratorio League”, un’opportunità di far praticare lo sport a tutti i ragazzi non tesserati FIGC, perché il suo obiettivo è quello di far giocare i ragazzi non ritenuti fisicamente adatti per una squadra di calcio. Inoltre organizziamo la “Sunset League”, un torneo di beach volley e di padel, ma che in realtà serve a noi per rincontrarci con gli alleducatori, celebrare con loro una messa, costruire un legame, una relazione».
La “StarCup” ha anche dei costi, chi la sostiene economicamente?
«Non riceviamo alcun contributo né dalla Diocesi né dall’8xMille, quindi non siamo un costo per la Chiesa, ma ci autofinanziamo con le iscrizioni (25 euro ad iscritto). Per chi non può versare la quota provvediamo noi, perché non ci mancano i benefattori: privati cittadini, parrocchiani e nonni. Questi ultimi sanno che i loro nipoti partecipano con entusiasmo e vogliono aiutarci anche donandoci 50 euro (il doppio della quota). Ci sono anche la Comunità Magnificat, il Cammino Neocatecumenale e la Caritas diocesana… Non ci abbandona la Provvidenza, come è accaduto nel post-Covid con i prezzi alle stelle… Don Marco Briziarelli, direttore della Caritas, mise a nostra disposizione un piccolo fondo che poi abbiamo restituito (pur non obbligati) proprio grazie alla Provvidenza».
Tanto impegno intellettuale, spirituale ed anche materiale, ma poi le chiese restano vuote la domenica.
«Per riempirle bisogna creare relazioni a tutti i livelli nelle comunità parrocchiali altrimenti muoiono se i parroci, in primis, non si mettono in gioco insieme ai collaboratori laici. Se non ci si apre al nuovo, ma si resta chiusi a quello che si è sempre fatto, le persone restano lontane. Vanno create, invece, occasioni dove ci si incontra, si dialoga, si ascolta quello che c’è da dirsi, anche i problemi, così da mettersi emotivamente in gioco in momenti dove, a mio avviso, si fa il cambio di passo pastorale. Lo vediamo in certe parrocchie a messa la domenica, dove il parroco ha un nuovo passo sono presenti 400-500 fedeli, in altre, seppur con alcune migliaia di battezzati, in chiesa sono appena in 25-30. In diverse delle nostre comunità parrocchiali manca la bellezza e la freschezza di essere Chiesa aperta, di prossimità alle famiglie giovani e adulte».