Don Orlando Sbicca, il parroco missionario

Monsignor Orlando Sbicca racconta la sua chiamata alla vita sacerdotale ricevendoci nella sacrestia della cattedrale di San Lorenzo dove è approdato come canonico confessore lo scorso ottobre, dopo essere stato missionario in Burundi e poi parroco ai Santi Biagio e Savino di Perugia, a Tavernelle di Panicale e Colle San Paolo. Nel frattempo, due riconoscimenti non di poco conto: monsignore cappellano di Sua Santità e canonico onorario del Santo Sepolcro. Infine, parroco a Casalina e a Castelleone di Deruta, un ritorno a casa…
Gli si illuminano gli occhi quando pronuncia il nome del luogo in cui è nato, Castelleone di Deruta, l’11 gennaio 1941, e quando parla della sua famiglia di contadini, molto politicizzata di sinistra.

«Sono cresciuto nel periodo delle lotte contadine comuniste che ha segnato la mia infanzia – racconta –. Entrai in Seminario grazie al parroco, don Redento Becci, che mi privilegiava pur non andando quasi mai in chiesa. Ci andavo rare volte con la mamma perché lei era una Veschini, di famiglia praticante. Il fratello di mamma, lo zio Gigiotto, era il babbo di mio cugino don Alberto divenuto anche lui sacerdote, l’attuale parroco di Ponte Felcino. Don Becci mi cercava sempre e forse era il Signore a volerlo, perché Lui ha le sue strade ed io ne ho imboccata una, quella che mi ha condotto a farmi prete.

Quando la gente del posto seppe che il figlio degli Sbicca sarebbe entrato in Seminario, rimase incredula domandandosi: “Orlando prete? Appartiene a una famiglia di comunisti, di mangiapreti!”. Ci fu quasi una rivolta in paese dai toni persecutori: “Non ti vergogni di volerti fare prete?”. Il babbo, però, non mi ostacolò nella mia scelta ed entrai, a 12 anni, in Seminario, a Perugia».

Un aneddoto degli anni trascorsi in Seminario?

«Ricordo quando il cardinale Angelo Roncalli, patriarca di Venezia, il futuro papa Giovanni XXIII venne in visita al Seminario. In chiesa gli prepararono un inginocchiatoio dove potersi raccogliere in preghiera davanti al Santissimo, ma era troppo piccolo per la sua pancia “abbondante” e dovette inginocchiarsi direttamente a terra, sul tappeto… Allora la vita del Seminario (prima a Perugia con il rettore mons. Italiani e poi a Montemorcino con don Carlo Urru divenuto poi vescovo) era abbastanza severa…, ma la ricordo e l’assolvo tutta senza recriminazioni…».

Lei privilegia molto la missione, ha da poco lasciato l’incarico di direttore dell’Ufficio diocesano missionario…

«Negli anni di seminario nacque in me l’interesse per le missioni, entrando a far parte del gruppo missionario. Questo interesse per la vita missionaria, che fu anche un’inquietudine interiore, accrebbe in me quando arrivai in Seminario Regionale ad Assisi, maturando l’idea di farmi missionario… Nel contempo volevo ostacolare quest’idea, mandarla via, perché a quei tempi la missione era qualcosa anche di eroico… Quando ero nella chiesa del Seminario, a volte piangevo chiedendo al Signore di non farmi questa chiamata. Cammin facendo mi accorsi, invece, che era la mia strada! Andai a formarmi dai missionari Saveriani, a Parma, dove ricevetti l’ordinazione sacerdotale il 15 ottobre 1967.

Don Orlando missionario in Burundi

Dopo cinque anni di preparazione come animatore missionario in Piemonte e in Lombardia, nel 1972, partii per il Burundi. Fu un’esperienza bellissima, perché la missione ti tara, se sei in crisi ti brucia, se non lo sei ti dà qualcosa che ti cambia la vita. Ho avuto un amore grande per la gente e dalla gente del Burundi corrisposto in maniera edificante, che porto sempre nel mio cuore. Era gente che sapeva capirti ed ogni missionario aveva il suo soprannome ed io ne avevo due, uno positivo, che non ho detto mai a nessuno e lo porterò con me in Paradiso, l’altro “igniundo” (martello), perché i chiodi li mandavo giù tutti…».

La vita in Burundi non è stata facile. Don Orlando, perché ha poi abbandonato la missione?

«Ci sono stati anche momenti di sofferenza, di prova in un periodo in cui in Burundi furono commessi numerosi eccidi, oltre 150mila morti. Venivano da me tante vedove a dirmi: “padre mi hanno rubato la piantagione di caffè, di palme, ecc.…”. Dall’altare iniziai a denunciare queste ingiustizie, ma questo alle autorità locali non piacque e iniziarono le persecuzioni con un dossier tremendo su di me. Mi salvò una vedova di nome Maria che ero solito aiutare, perché molto povera, testimoniando la mia completa innocenza. Addirittura, diventai amico delle autorità non solo locali, ma anche del ministro dell’Interno, un cristiano molto buono. In Burundi, un Paese piccolo, la voce si sparse subito…

Quando il presidente della Repubblica ebbe uno scontro durissimo con la Chiesa, iniziò il periodo delle espulsioni di missionari il sottoscritto incluso. Ricordo che il ministro degli Interni, l’amico colonnello Stanislao Mandi, mi fece pervenire un messaggio tramite il mio vescovo Roger Mpungu: mi assicurava che avrebbe fatto di tutto per farmi rientrare in Burundi. Dovetti lasciare il Paese nel 1979. In quei giorni drammatici, ricordo che una vedova in una assemblea in chiesa mi disse: “Padre Orlando, tu sei nei nostri cuori, ti ringraziamo perché per noi vedove sei stato nostro padre, nostro marito, nostro Dio”. Questa è la testimonianza di quanto la gente amasse noi missionari. Poi furono martirizzati in Burundi due confratelli, uno era padre Ottorino Maule, mio compagno di ordinazione ed una missionaria laica Catina Gubert. L’espulsione dal Burundi fu per me una prova particolarmente dolorosa, accompagnata da una crisi di fede. Chiesi ai superiori di fare un “anno sabatico”, di “silenzio” per rimettermi “in piedi”.

Il rientro a Perugia, in parrocchia

Poi per gravi motivi familiari tornai a Perugia, dove fui incardinato nel Clero diocesano e nominato dall’arcivescovo Ennio Antonelli, nel 1989, parroco dei Santi Biagio e Savino; e così il progetto di rientrare nel mio amato Burundi andò in fumo…».

È stata la sua prima parrocchia, la sua prima “missione” ad “intra”. L’incontro con l’Abbé Pierre…

«È stata un’esperienza nella quale devo ringraziare Dio per aver trovato nel mio predecessore una cara persona, don Genesio Censi, fondatore della comunità parrocchiale. Dodici anni di fraternità: don Genesio non mi fu di intralcio nella mia missione pastorale. Si meravigliò di questo bel rapporto una personalità ecclesiale di fama mondiale, che ospitai in parrocchia, l’Abbé Pierre, il fondatore delle Comunità Emmaus per poveri ed emarginati. Venne a Perugia per un incontro all’aperto, in piazza della Repubblica; io gli feci da interprete. Il giorno dopo lo accompagnai ad Assisi e durante il viaggio mi disse: “Padre, mi devo congratulare con lei, perché va d’accordo con il suo predecessore (l’“ancien curé”), di solito non è così!”. Con don Genesio avevamo affinità anche politiche, perché entrambi condividevamo gli ideali democristiani di sinistra».

Dopo la comunità dei Santi Biagio e Savino, le altre parrocchie da lei guidate…

«Tempi addietro, da preti, si entrava in città, mai il contrario… A me è toccato di andare controcorrente, uscendo dalla città, quando l’arcivescovo Giuseppe Chiaretti, che mi stimava tanto (immeritatamente!), nel 2002, mi mandò parroco a Tavernelle e Colle San Paolo facendomi vivere un’esperienza positiva di “curato di campagna” a 360 gradi. Non sempre fu facile (era considerata la zona più scristianizzata della diocesi, parrocchie molto “dure”, molto politicizzate dove il partito comunista aveva maggioranze bulgare…), ma con i giovani è stato bellissimo. Io credo al sacramento della confessione e nel confessionale ho incontrato tanta santità… Poi il cardinale Gualtiero Bassetti mi affidò tutte le parrocchie (cinque) del comune di Panicale.

Don Orlando Sbicca parroco con l’anima missionaria

Ho proseguito la mia missione maturata ai Santi Biagio e Savino, dall’oratorio ai tanti campi estivi. Ricordo l’attenzione dei ragazzi durante le mie catechesi che sfioravano l’ora! Ho avuto sempre una venerazione per loro! Quando sento certe bestialità commesse da preti nei confronti di ragazzi e ragazze mi viene la pelle d’oca… Non molto tempo fa, vari animatori li ho rivisti ad un pranzo a Tuoro sul Trasimeno, da don Marco Cappellato; oggi sono sposati con figli. È stato molto bello!».

A proposito del suo rapporto con i giovani, ha accompagnato qualcuno di loro al sacerdozio?

«Il Signore non mi ha concesso il “privilegio” di accompagnare al sacerdozio dei giovani, uno l’ho avuto come adolescente, ma non so quanto io abbia influito nella sua scelta vocazionale». [Ho contattato questo giovane sacerdote, don Simone Pascarosa, attuale vicario episcopale per la Pastorale, e mi ha confermato che don Orlando Sbicca ha influito non poco sulla sua chiamata al sacerdozio, soprattutto per il suo carisma missionario].

Avviandoci alla conclusione, l’ultimo lustro di don Orlando parroco-missionario…

«L’ho vissuto nella zona della mia fanciullezza, a Casalina e Castelleone, quasi un soggiorno salutare, prima di ritornare in città, questa volta da canonico confessore della cattedrale, incarico affidatomi dal nostro vescovo don Ivan. Giunto al 57° anno di sacerdozio, posso dire di avere una certa delusione, quella di vedere preti (soprattutto giovani) poco sensibili alla dimensione missionaria della pastorale. Sono ancora valide le parole di Gesù: “andate in tutto il mondo”! Vorrei umilmente dire loro: ricordatevi che è Cristo che ha salvato il mondo…, siate uomini di contemplazione per poi essere pastori che lasciano traccia e non tamburi che fanno chiasso».

LASCIA UN COMMENTO