Bracciante morto: è marcio il sistema

Per la morte del bracciante agricolo indiano Satnam Singh, che aveva perso un braccio in un infortunio sul lavoro nei campi dell’Agro Pontino, il datore di lavoro sarà processato per omicidio doloso, cioè volontario. Non per avere causato l’infortunio con colpa; questo sarà un capo di imputazione separato; ma per avere volontariamente provocato il ritardo dei soccorsi che avrebbero salvato la vita di Singh.

Altri capi di imputazione si riferiranno all’avere impiegato manodopera in nero, con la violazione dei diritti dei lavoratori quali i contributi previdenziali, eccetera. Peggio ancora, i lavoratori così sfruttati erano immigrati clandestini, trattati in condizioni che fanno parlare di schiavitù. Un cumulo di illegalità che però, a quanto pare, in certe zone d’Italia rappresenta la normalità.

Ci si chiede quali meccanismi producano questo stato di fatto. Una delle cause è certamente la legge sulla immigrazione, che pare fatta apposta per rendere la vita difficile ai poveri immigrati. Se non hai il permesso di soggiorno per lavoro, non puoi avere un contratto di lavoro; ma se non hai un contratto di lavoro non puoi avere un permesso di soggiorno per lavoro. Può averlo solo lo straniero che, nella sua terra di origine, si presenta all’Ambasciata italiana mostrando la proposta nominativa di impiego ricevuta da parte un cittadino italiano, e timbrata dalla questura del luogo dove si svolgerà il lavoro.

Tutti quelli che arrivano in Italia per altre vie e trovano un lavoro non potranno avere un contratto regolare. Gli imprenditori, però, di quella manodopera hanno bisogno e non la trovano se non rivolgendosi agli irregolari. Naturalmente hanno la loro convenienza, perché risparmiano vergognosamente sul costo del lavoro, ma intanto a questo li conduce il meccanismo legale ideato da chi straparla di “difendere i confini” e di “resistere all’invasione”.

Mentre è chiaro che più si rende difficile, anzi impossibile, l’immigrazione regolare, più si incentiva quella irregolare. Il paradosso è che chi pratica questa politica dell’immigrazione è anche chi si vanta di sostenere e promuovere la produzione agroalimentare italiana, la quale però, come tutti sanno, non esisterebbe più senza la manodopera degli immigrati sottopagati. Come sempre, si vuole la botte piena e la moglie ubriaca.

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