Sono cinque le tappe della 50a Settimana sociale dei cattolici in Italia. Dopo il primo lancio dell’evento, si è avuta la “lettura nei territori” fra autunno e inverno 2023; quindi lo svolgimento della settimana a Trieste adesso, il 3-7 luglio 2024. Seguiranno la “generazione nei territori” e infine un evento di sintesi nel maggio 2025.
Dal 3 al 7 luglio la Settimana sociale dei cattolici
Un percorso che incrocerà il Cammino sinodale. A Trieste sono attesi 1.500 delegati, con una significativa presenza giovanile, proveniente da diocesi, associazioni e movimenti, esperienze locali di buone pratiche.
I temi. Saranno presenti Mattarella e papa Francesco
Fra i temi che verranno toccati: giovani e formazione, welfare, convivenza, lavoro, ambiente, pace, cultura e informazione. A Trieste, dal 3 al 7 luglio, è prevista anche la presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che interverrà con un discorso alla cerimonia di apertura; nonché Papa Francesco nella giornata conclusiva. È possibile accedere a tutta la documentazione, il calendario, gli accrediti, vari approfondimenti e altro ancora tramite il sito ufficiale www.settimanesociali.it.
E alcuni vescovi umbri e responsabili uffici pastorali
Anche le diocesi dell’Umbria saranno presenti alla prossima Settimana sociale, i primi di luglio. A Trieste andranno alcuni dei vescovi umbri insieme a un gruppo di responsabili degli uffici diocesani per i problemi sociali, membri di équipe del Progetto Policoro e altri operatori pastorali che si occupano di questo ambito nelle loro Chiese locali.
Intervista a don Marco Rufini
Tra loro ci sarà anche don Marco Rufini, parroco della concattedrale di Santa Maria a Norcia. È lui, dalla Pasqua scorsa, il nuovo coordinatore della commissione per la Pastorale sociale e il Lavoro (Psl) della Conferenza episcopale umbra (Ceu).
Don Marco, è un tema impegnativo quello di Trieste, vedendo anche il calo consistente della partecipazione popolare alle ultime elezioni…
“Alla crisi di partecipazione che viene fatta coincidere con l’astensionismo elettorale non credo che corrisponda una crisi di idealità, quanto il fatto che le persone più che essere contate amerebbero contare. Vorrebbero che la propria voce e il proprio pensiero potessero avere un impatto. Molte persone non cercano qualcuno a cui delegare ogni cosa, l’uomo o la donna soli al comando che risolve i problemi di tutti. Credo che in questo nostro tempo, sia uno dei grandi equivoci. L’uomo solo al comando può solo far naufragio: se naufragasse da solo non sarebbe niente, ma spesso porta a naufragare intere comunità umane”.
Si dice spesso che i cattolici ormai sono una minoranza nelle nostre comunità. Ma sui temi sociali sembrano aver ritrovato una nuova vitalità e fecondità. È solo un’impressione o ci sono davvero cammini e orizzonti nuovi?
“Sinodalità e partecipazione sono due facce della stessa medaglia. Rappresentano la grande sfida sia per la società sia per la Chiesa, in questo nostro tempo. Una sfida che richiede di assumere dei rischi e che qua e là comincia a farci osservare dei germogli belli e significativi. Nella mia parrocchia c’è una grande quercia; dicono che abbia cinquecento anni, una sorta di monumento naturale, è la quercia di Nottoria; ebbene anche quella quercia un giorno era alta due centimetri. Ecco, forse questi germogli sono alti lo stesso, ma guai a non prendersene cura e a non farli crescere: sono un grande segno di speranza”.
Da qualche anno, grazie anche alle due assemblee regionali di Foligno 2019 e 2022, anche la Chiesa umbra sta cercando nuove strade di evangelizzazione e di presenza. Con quale spirito e quali idee sei arrivato alla guida della commissione Psl della Ceu?
“Dovremmo avere il coraggio di riconoscere che oggettivamente in questo tempo non sappiamo che pesci pigliare: si tratta di un salutare smarrimento. La pastorale sociale e del lavoro credo possa dare il suo contributo soprattutto per rigenerare una coscienza popolare. In questi anni, in un certo senso, siamo vissuti sotto la dittatura dell’esperto, che sapeva risolvere tutti i problemi. La storia ci insegna che non necessariamente va così. C’è bisogno di ritornare a riconoscere il valore del concetto di ‘popolare’, che nel nostro tempo decliniamo troppo come forma di fama riconosciuta da parte dei più”.
Popolare vuol dire che una cosa appartiene a un popolo.
“Rigenerare una coscienza popolare sui temi di fondo e sui valori credo che sia una delle grandi sfide da raccogliere nel nostro tempo”.