Si sono svolte il 28 e 29 giugno, tra Antiochia e Tarso – le due città simbolo per i cristiani in Turchia – le celebrazioni conclusive dell’Anno paolino. A presiedere le liturgie il card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, in veste di inviato speciale di Benedetto XVI. Le parole chiave di questi due giorni, ricchi di celebrazioni e di incontri, anche con le autorità civili locali e della regione, che sul Giubileo di Paolo avevano puntato non solo per motivi turistici ma anche di immagine, sono state testimonianza, coerenza, coraggio, esemplarità, ovvero tutto ciò che serve ad una Chiesa di minoranza come quella cristiana in Turchia per dare significato e qualità alla sua presenza. I numeri non tradiscono: fino a un secolo fa, in Turchia vivevano circa due milioni di cristiani, la comunità proporzionalmente più numerosa in Medio Oriente; oggi è la più ridotta. Oggi sono circa 100 mila, divisi tra armeni, cattolici (per questi le stime parlano di circa 30 mila), protestanti, siro-ortodossi. Eminenza, qual è il significato della sua presenza in Turchia come inviato di Benedetto XVI per le celebrazioni conclusive dell’Anno Paolino e che messaggio lascia? ‘Esortare i fedeli presenti affinché con la preghiera, la meditazione, la riflessione sulle necessità spirituali, con rinnovata forza e nuovo ardore vogliano ricercare la volontà di Dio e con impegno fedele siano ferventi nella vita quotidiana. Questo è quanto il Papa mi ha incaricato di dire ai cattolici turchi: siete una minoranza; dovete essere esemplari, non solo in chiesa ma nella vita quotidiana’. Che Chiesa ha trovato in Turchia e che frutti potranno maturare da questo Anno? ‘La Chiesa cattolica turca è viva ma vive in una situazione di minoranza, e come tale è una comunità che deve testimoniare la propria fede in modo chiaro e discreto ma al tempo stesso incisivo. Il Giubileo paolino è un’occasione per i suoi fedeli di approfondire la fede e di non aver paura ad essere cristiani anche in un contesto di minoranza, così come san Paolo che non ha mai avuto paura. Il Signore ci dà la forza di essere testimoni credibili e perseveranti. L’Anno paolino ha portato e porterà un progresso del cristianesimo turco nella misura in cui i fedeli hanno trovato e conosciuto l’Apostolo delle genti’. C’è un punto privilegiato da cui ripartire, sull’esperienza dell’Anno paolino, per dialogare con la maggioranza islamica e dare ulteriore significato e senso alla presenza cattolica in Turchia? ‘Innanzitutto dalla cultura. Qui c’è la possibilità di un dialogo culturale: la Chiesa gode di grande prestigio, ci sono tanti studiosi e professori di fede cristiana, tanta gente ha studiato nelle nostre strutture – e penso a Notre Dame di Sion e a saint Benoit a Istanbul. I cristiani sono uomini e donne di dialogo poiché devono condividere quel tesoro che è Gesù Cristo. Paolo è stato artefice del dialogo interculturale ponendosi al centro di crocevia di mondi e culture’. A questa apertura culturale cristiana ne corrisponde una analoga islamico-turca? ‘Ogni fede si incarna in una cultura, poiché ha bisogno di parole e concetti per esprimersi. Il problema è che ci sono culture aperte ed altre più chiuse. Noi dobbiamo, in chiave di amicizia, fare in modo che la gente si conosca, poi dare a tutti la possibilità di esporre il contenuto della propria fede così da superare l’ignoranza. La mia esperienza è che la maggior parte delle difficoltà nel dialogo interreligioso proviene dal fatto che non ci si conosce. La prima cosa è conoscere le persone, accettare di prendere del tempo per consentire all’altro di avere fiducia in noi e fare un cammino di mutua conoscenza che suppone l’amicizia. Nel dialogo interreligioso l’amicizia è molto importante’. In che modo? ‘Basta ricordare la visita del Papa proprio qui in Turchia nel novembre del 2006. Con piccoli gesti, semplici, ha cambiato il clima del viaggio. Il potere del cuore ha avuto la forza di far cambiare idea su questa visita. Lo abbiamo rivisto poco fa in Terra Santa. Il futuro del dialogo si costruisce con l’amicizia, la conoscenza, e questo avviene in famiglia, in strada, in chiesa come nella moschea, a scuola. In Turchia c’è la necessaria libertà per far conoscere la fede cristiana? ‘C’è una possibilità moderata poiché non abbiamo, per esempio, tante strutture come in altri Paesi. Ce ne sono diverse educative, dove la popolazione musulmana è maggiore della cristiana. Come ho già detto prima, molte persone dell’intellighenzia turca sono passate attraverso questi nostri centri, specie a Istanbul. Per quanto pochi, hanno prestigio per serietà e competenza. Tuttavia quando parliamo di libertà religiosa non intendiamo solo quella di culto, ma della possibilità di partecipare quali credenti al dialogo pubblico’. Ci sarà un futuro europeo per la Turchia e questo ingresso potrà giovare ad una maggiore libertà religiosa e di culto? ‘Non spetta alla Santa Sede dire se la Turchia debba o meno far parte dell’Unione europea. Posso dire che chi vuol far parte dell’Ue deve adottarne i criteri. È come un club: chi vuole esserci deve rispettarne le regole. La responsabilità è delle autorità politiche turche, non certo della Santa Sede’.