Ci sono momenti in cui ci sentiamo impotenti davanti ad un pericolo incombente. Sperimentiamo allora tutta la nostra limitatezza e ci assale un grave senso di angoscia. Vorremmo gridare aiuto a chi ci sta vicino, ma nessuno ci può aiutare; siamo spesso soli a portare la nostra incapacità, pur essendo tutti nella stessa fragile barca della vita. Allora il nostro grido di supplica può avere una sola direzione: quella di Dio. Solo Lui può aiutarci, perché è l’unico Signore del mondo e della storia, colui che vive insieme con noi e in noi la difficile traversata della vita. La sua presenza a bordo ci dona sicurezza e speranza per affrontare la fatica di ogni giorno.
Se viviamo di fede, sentiamo che il Signore è con noi e non ci può trascurare: “Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a coloro che gliele chiedono” (Mt 7,11). Gesù aveva assicurato: “Io sarò con voi fino alla fine del mondo”. Con questa certezza il Vangelo di oggi diviene estremamente attuale. Siamo trasferiti sulle rive del lago di Genezaret dove Gesù sta parlando, seduto a poppa di una barca, alla folla schierata davanti a lui sulla spiaggia (Mc 4,1). Quel podio sul mare gli consentiva di farsi vedere e sentire da tutti. La brezza che spira dal mare spinge la sua voce chiara fino agli ultimi di quell’anfiteatro umano. L’attenzione è massima perché Gesù sta parlando in parabole, cioè sta usando episodi ed immagini da tutti conosciuti e vissuti. La sua è un catechesi narrativa concreta che incanta le folle.
Il suo insegnamento, la sua voce pacata e viva, la sua autorevolezza fanno colpo sulla folla che sta ad ascoltarlo per l’intera giornata. Questo deve essere accaduto quel giorno, perché a sera la folla era ancora là e non si decideva a tornare a casa. Marco conclude dicendo che “con molte parabole insegnava loro la Parola secondo quanto potevano capire”. Ma la sera ormai incombe e Gesù è stanco per un’intera giornata di insegnamenti; perciò invita i discepoli, che sono con lui sulla barca, a prendere il largo e a passare alla riva opposta. Dietro la scarna descrizione dell’evangelista si avverte la grande stanchezza di Cristo, che non ha più la forza nemmeno di muoversi; perciò “lo presero con sé così com’era nella barca”. In pratica lo aiutarono, prendendolo quasi di peso, fino a farlo coricare all’interno, a poppa, da dove aveva parlato per tante ore. Il segno evidente di quella stanchezza estrema, che Gesù non nasconde, è il sonno profondo nel quale subito piomba pesantemente. Fanno appena in tempo a mettergli un cuscino sotto la testa, che è già addormentato.
Dopo questa introduzione scenica, il racconto è scandito da quattro momenti: la situazione di pericolo, l’invocazione di aiuto, il comando al vento e al mare, il rimprovero della poca fede. Appena la barca di Pietro e le altre che l’accompagnavano presero il largo, scese la notte e si scatenò un violento uragano. Il linguaggio sembra alludere alla tempesta che investì la nave dove si era imbarcato il profeta Giona, che, come Gesù, dormiva tranquillo sottocoperta ignaro di ciò che stava accadendo intorno a lui (1,4s). L’allusione vuole solo indicare che “ora qui c’è più di Giona” (Mt 12,41). Nella memoria degli ascoltatori e dei lettori ebrei, si destava spontaneo il ricordo della traversata del mare guidata da Mosè nell’Esodo (14,15-22). Come nel nostro caso, c’era il grido disperato della paura, c’era l’intervento miracoloso di Mosè, il buio della notte rischiarata dalla presenza di Dio e il forte vento che divise le acque per salvare Israele.
Nei discepoli raccolti nella barca c’era ora il nuovo Israele di Dio, che Gesù accompagnava nella traversata del mare, vincendo le potenze scatenate del male. Per l’ebreo il mare ingovernabile era il segno delle forze demoniache che solo Dio sa vincere (Sl 65,8; 89,10). Qui il piccolo mare di Galilea stava tentando di travolgere la barca di Pietro con la sua furia. L’acqua ne aveva scavalcato le sponde e la stava riempiendo. Sarebbe stata la fine. Gli esperti pescatori sono disperati, non hanno più risorse, e Gesù, pur investito dagli spruzzi d’acqua e lambito dalla onde, dorme tranquillo sul suo cuscino. A corto di risorse, i discepoli lo scuotono con forza e lo destano, gridandogli forte la loro paura: “Non t’importa che siamo perduti?”. Lo spavento impedisce loro di ragionare. Pensano solo a se stessi, senza tener conto che il loro destino è legato a quello del Signore, che è con loro a bordo e sta condividendo la loro sorte.
Colui che ha comandato quella traversata, può pensare di salvarsi da solo, mandando in malora i suoi compagni di viaggio da lui amati e scelti? Gesù però non perde tempo con queste discussioni teologiche: con la voce potente del Dio creatore sgrida ora le forze scatenate, come in altri momenti ha sgridato i demoni che devastavano un uomo. Il vento e il mare, come cagnolini, ubbidiscono alla voce del loro Signore. Sembra di riascoltare il canto del Salmo 107,29: “Ridusse la tempesta alla calma, tacquero i flutti del mare”. Il successo è immediato: alla furia paurosa degli elementi della natura scatenati, subentra il silenzio e la bonaccia. Nel cuore agitato dei discepoli, alla paura subentra la sorpresa piena di meraviglia. Scoprono nel loro Maestro la gloria potente di Dio, padrone del creato. Da buoni ebrei, avranno ripetuto in cuor loro il canto dei loro pellegrinaggi a Gerusalemme: “Il Signore tuona sulle acque, il Dio della gloria scatena il tuono, il Signore sull’immensità della acque. Nel tempio del Signore tutti dicono: gloria!” (Sl 29,3.9).
Sono là ancora imbambolati e sorpresi per le meraviglie che hanno veduto, quasi non credono ai loro occhi, quando Gesù li risveglia con il suo benevolo rimprovero: “Perché avete avuto paura? Non avete ancora fede?”. Solo allora si rendono pienamente conto dell’accaduto e si domandano: “Chi è costui, che anche il vento e il mare gli ubbidiscono?”. Il timore, la gioia, la meraviglia si scatenano ora nel loro piccolo mare interiore. Sono stati toccati dal mistero di Dio, e ora la paura di Lui li avvolge dolcemente. Possibile che Dio sia così vicino da prenderti in braccio e portarti al sicuro? Non si finisce mai di scoprirlo, perché ci sorprende sempre con la sua novità. Nei momenti più difficili anche noi sentiamo che ci ripete: “Perché avete paura? Non avete abbastanza fede?”. Come si fa a non amare un Dio così? Paolo gridava ai Romani: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? Nulla ci separerà, né in cielo, né in terra, dall’amore di Dio” (Rom 8,31).