Non possiamo far finta di niente

Editoriale

Nell’immediata vigilia delle elezioni non possiamo far finta di niente e parlare d’altro. Talvolta si vorrebbe voltare la testa altrove per non vedere, non sentire e non essere costretti a prendere posizione, avendo solo voglia di tranquillità e pace con tutti. Il desiderio di pace non è un alibi o una deriva qualunquistica. C’è una frase di Paolo (in questo Anno paolino non possiamo dimenticarlo) che consiglia: ‘Per quanto sta in voi siate in pace con tutti gli uomini’ (Rom. 12,18), che riecheggia in molti testi della Bibbia che invitano, inneggiano e augurano la pace. Sembra, invece, che la conflittualità regni sovrana in ambito politico e coinvolga vasti strati della società. Non basta che ognuno dica di essere impegnato nella ricerca del bene comune, perché, poi, intende realizzarlo a modo suo. Si direbbe: sul fine siamo tutti d’accordo, ma sui mezzi e i metodi ognuno la pensa in maniera diversa. Forse le cose si complicano ancora di più a causa dei personalismi, che rovinano anche le migliori famiglie. Così se ne va in malora anche la serenità di giudizio, spuntano passioni irrefrenabili e seminano discordie, disprezzo e persino odio. Il Capo dello Stato, il recente 2 giugno scorso, festa della Repubblica, ha dovuto fare un richiamo alla moderazione dei toni e alla concordia nazionale, condizione assolutamente necessaria, anche se non sufficiente, per superare la crisi che imperversa. Sulla sua valutazione (se sta passando oppure si sta aggravando, se è una sensazione psicologica e nessuno, in fondo, muore di fame, oppure ci siamo dentro pesantemente, anche se i ricchi non se ne accorgono) anziché fare qualche conto che potrebbe dirimere la questione si litiga su posizioni frontalmente opposte. Il cittadino vorrebbe cifre, conti alla mano, dati, sereni confronti: quanti sono che lavorano, quanti perdono il posto, quanto costa il pane e il latte. Durante il passato ponte del 1’giugno, vedendo le autostrade con lunghe code di macchine qualcuno diceva: vedi la crisi! poveri italiani che muoiono di fame! Si dimentica che per intasare le autostrade non è necessario che vadano a spasso tutti gli italiani. Basta che si muova il dieci per cento della popolazione che, grazie a Dio, sta bene. Ma l’altro novanta? In questi giorni sono comparsi su alcuni giornali, tra cui l’Osservatore Romano (3 giugno), alcuni dati economici che riguardano l’Europa e l’Asia, ripresi dall’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea. Per dare solo una cifra, nei 27 Paesi europei abbiamo un tasso di disoccupazione pari all’8,6 per cento con un aumento, sia pure piccolo, rispetto a marzo. In cifre reali si tratta di 20 milioni e ottocento mila disoccupati nell’Ue, con un aumento di disoccupati, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, di quattro milioni e mezzo. Nel Sud est dell’Asia vi sono quattrocento milioni ridotti alla fame. Le votazioni imminenti per il Parlamento europeo non risolveranno questi problemi, che devono essere affrotati dai governi nazionali, secondo il principio della sussidiarietà. Ma, se i cittadini del più grande parlamento, dopo quello indiano, dimostreranno partecipazione e senso civico e determinazione nell’eleggere uomini validi ed onesti, non ubriachi di potere, successo e vanagloria, sarà un bel segno di speranza per tutti. I sogni e le buone intenzioni praticati insieme possono divenire realtà.

AUTORE: Elio Bromuri