C’è chi li aspettava al varco sabato 2 marzo. Sono pacificamente scesi in piazza come la settimana precedente, hanno respinto ogni strumentalizzazione, hanno chiesto agli adulti di essere ascoltati. Hanno fatto rumore, anzi sono stati rumore. Hanno reso insignificante la critica di chi, citando le parole di Pasolini, li aveva addirittura contrapposti ai poliziotti “figli di poveri”.
Nella lettera immaginaria, ma neppure troppo, di una ragazza apparsa su un giornale nazionale dopo le botte di Pisa e le successive manifestazioni, si legge: “Ma non ce l’ho con la polizia. Odio le generalizzazioni. Non hanno sbagliato le forze dell’ordine. Hanno sbagliato quei poliziotti, e solo loro, che si sono scagliati contro di noi. Siamo fortunati a vivere in Italia, siamo un Paese libero che forse a noi giovani sta un po’ stretto ma nel quale è ancora possibile dire quello che pensiamo. La vicinanza di Mattarella ci ha riempito di orgoglio e la solidarietà dei professori che ci hanno chiesto scusa a nome degli adulti che ci hanno picchiato alimenta la voglia di continuare a esprimere le nostre idee”.
Dicono i ragazzi e le ragazze che le ferite visibili sul corpo come quelle invisibili e più profonde nell’anima si rimargineranno, senza però nulla togliere alla verità dei fatti e senza ridurre la volontà di essere rumore più che fare rumore. Un rumore per dire che sono sempre più a rischio i valori ai quali le nuove generazioni credono e senza i quali il futuro appare infelice: la dignità di ogni essere umano, la libertà, la giustizia la pace, la bellezza, la casa comune.
Le manifestazioni dei giorni scorsi erano contro la strage di innocenti in Palestina; ma era davvero impossibile, era davvero così difficile capire che non erano ignorate le altre stragi narrate quotidianamente dai media e che continuano a profilarsi all’orizzonte? E se questa lettura delle manifestazioni apparisse frettolosa, perché fermarsi a una critica distruttiva e non avvertire la responsabilità di accompagnare la crescita di una conoscenza e di una consapevolezza più ampie delle tragedie di oggi?
Ecco il paziente cammino di un’educazione che gli adulti sono chiamati a intraprendere accanto ai giovani che chiedono di essere nella storia attori e non spettatori. Ci sono ancora questi adulti? Nella lettera immaginaria viene citato Sergio Mattarella e i professori che hanno chiesto scusa a nome degli adulti. Tracce e orme che non sfuggono. Dei politici non c’è invece accenno: un segnale che dovrebbe far riflettere sulla incapacità e sulla non volontà di ascoltare e quindi di capire la preoccupazione, il pensiero e il sogno delle nuove generazioni.
Un pensiero e un sogno che sfidano i muri dell’arroganza e della presunzione, un pensiero e un sogno che hanno preso la parola nelle piazze e non solo sui social. Un rumore che scompiglia i ragionamenti e i piani di chi considera una fragilità la difesa e la tutela dell’umanità.
Paolo Bustaffa