Il Primo maggio quest’anno si celebra in un periodo di forte crisi economica. C’è grande sofferenza nel mondo del lavoro, e sono sempre tanti gli infortuni e incidenti mortali. Ne parliamo con mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni – Narni – Amelia, delegato dei Vescovi umbri per la Pastorale sociale e del lavoro.
Cosa può dire la Chiesa in questo particolare momento? “Questo Primo maggio cade in un momento di grande crisi non solo per la nostra regione ma per il mondo intero. Le notizie che continuano a giungerci parlano di un aggravamento della crisi soprattutto nei Paesi più poveri, e comunque la situazione è assai seria anche nei Paesi più sviluppati. Qualche segno già lo vediamo nella nostra regione: cominciano le casse integrazione, i licenziamenti, molte imprese sono in difficoltà. Non c’è dubbio che questo giorno, nel quale ricordiamo il tema del lavoro, chiede a tutti di riflettere sul problema, a partire dalle questioni relative agli incidenti sul lavoro, non solo a quelli mortali ma anche ai numerosissimi incidenti che portano a mutilazione. È indispensabile una applicazione più rigorosa delle leggi, insieme ad un impegno ad accrescere una cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro”.
È stato costituito un Fondo per il sostegno alle famiglie bisognose. Ha funzionato? E a che punto è la raccolta? “Debbo dire con compiacimento che il Fondo istituito dalla Conferenza episcopale umbra, per venire in aiuto soprattutto a quei lavoratori precari che si troverebbero da un giorno all’altro in serissima difficoltà, ha avuto una risposta straordinaria in tutti i campi e a tutti i livelli, dalle istituzioni alle banche, dagli onorevoli alla gente comune. La colletta fatta a fine di marzo è stata davvero straordinaria anche da un punto di vista di generosità. Non abbiamo ancora i dati globali, però in alcune parrocchie è stato raccolto tre o quattro volte quello che normalmente la domenica si raccoglie nella questua. Notevole è stato l’impegno delle Fondazioni, e ci auguriamo che questo Fondo riesca ad avere una sua consistenza, non per risolvere il problema, ma per donare un sostegno alle famiglie che certamente non sarà indifferente”.
Nel messaggio che i Vescovi umbri hanno dato in occasione della costituzione del Fondo si è parlato di una diversa sensibilizzazione verso una maggiore sobrietà nei consumi e verso nuovi stili di vita. Quali riscontri si hanno? “Questa crisi ci obbliga a porre un’attenzione nuova al modello di sviluppo. Nel documento la Conferenza episcopale umbra ricordava che il dovere di una comunità è quello di intervenire, ognuno per la parte di propria competenza, per indirizzare maggiori risorse possibili verso i più deboli e i più bisognosi, cercando di conciliare l’intervento assistenziale con le esigenze di crescita della persona, stimolando le aspirazioni a una formazione in grado di contribuire ad uno sviluppo sostenibile ed alla costruzione di nuovi modelli e stili di vita”.
In quale direzione va questo rinnovamento? “È indispensabile legare la qualità della vita non all’affannosa rincorsa al guadagno a qualsiasi costo, quanto piuttosto a riscoprire la centralità dei rapporti umani, della persona e della stessa famiglia, non solo nel lavoro ma nell’intero modo di condurre le proprie giornate. Una sobrietà nei consumi diventa indispensabile. Ormai siamo tutti ben coscienti che un consumo votato solo a rincorrersi troverà il suo blocco e non ci dona quella felicità che pure tutti cerchiamo. Penso a quanto sia stato deleterio per molti giovani non avere più un freno al consumo, per dare solo soddisfazione immediata a qualsiasi desiderio; e credo sia importante recuperare la giusta autorevolezza nei confronti delle vere prospettive e dei valori reali della vita”.
Quali sono le iniziative della Chiesa umbra per i prossimi mesi, per quanto riguarda il lavoro e la crisi economica attuale? “Stiamo pensando ad iniziative sull’aspetto educativo che, tra l’altro, sarà il tema dell’assemblea della Cei di maggio. Riteniamo che una nuova visione di società comporti anche un nuovo stile educativo. Si tratta di guardare al domani con maggiore saggezza, con meno superficialità, evitando avventurismi sciocchi, evitando irresponsabilità dannose. Proprio perché è dagli adulti, anzitutto, che deve nascere un nuovo stile di vita più sobrio, per essere tramandato alle generazioni più giovani, perché possano trovare il loro futuro, in qualche modo, già incanalato in una strada più solidale e più umana. E in questo siamo tutti esortati ad allargare il nostro sguardo, a non fermarci ai confini ristretti delle nostre città o della nostra regione, ma a guardare con maggiore ampiezza all’Europa, che deve ritrovare la sua visione universale, e anche ai Paesi del mondo, soprattutto i più poveri. Dobbiamo essere consapevoli che più si allarga il fossato tra chi ha e chi non ha, più è in pericolo la pace e la stessa convivenza tra gli uomini”.