Uniti contro l’Europa, ma divisi al proprio interno: a guardare le cronache delle proteste agricole di questi giorni, parrebbe così. Gli agricoltori di buona parte dei Paesi dell’Ue hanno mosso i trattori verso Bruxelles spinti da un sentimento: “Questa non è l’Europa che vogliamo, questa non è la politica agricola che vogliamo”.
In realtà, le motivazioni dietro le proteste appaiono diversificate a seconda delle agricolture e quindi degli Stati. Uno solo il denominatore comune: una magma incandescente che non solo rischia di travolgere alcuni pilastri della Politica agricola comune (Pac), ma che, in alcuni casi, vorrebbe mettere in discussione il sistema stesso della rappresentanza agricola.
In Italia, da nord a sud, nuclei di trattori hanno bloccato alcuni caselli autostradali e altri svincoli cruciali, tra cui Orvieto. Gruppi estemporanei di coltivatori riuniti in sigle comparse recentemente come quella dei “ Comitati riuniti agricoli” che in alcuni casi si sono definiti “agricoltori traditi”. Obiettivo dichiarato: arrivare fino a Roma, sotto palazzo Chigi.
Più caute le organizzazioni strutturate che, come Coldiretti, rivendicano già qualche risultato. Ettore Prandini, a capo dell’organizzazione dei coltivatori diretti, ha dichiarato: “Continueremo finché l’Europa non darà le risposte che il mondo agricolo merita. Ci servono più fondi, non tagli”. In un’altra occasione ha dichiarato: “Chiediamo alle future istituzioni Ue di iniziare fin da subito a riflettere su come adattare la futura Pac alle rinnovate esigenze di redditività e competitività delle imprese agricole nel nuovo scenario internazionale”. Qualcosa, in effetti, è già stato ottenuto. La Commissione Ue ha fatto sapere che si sta lavorando a un pacchetto di proposte con l’obiettivo di alleggerire il carico burocratico sulle imprese.
La stessa Commissione ha però in un certo modo scaricato il dovere anche sui Governi nazionali: nella nuova politica agricola, da qui al 2027 ai singoli Stati è infatti affidato il compito di “disegnare schemi e programmi che funzionino per i nostri agricoltori, per la nostra sicurezza alimentare, per gli obiettivi climatici e di sostenibilità”. Oltre alle grandi strategie, d’altra parte, la Commissione ha già proposto una deroga al blocco delle coltivazioni dei terreni, che era uno dei motivi che aveva scatenato la rivolta.
Dal canto suo, il Governo italiano ha ricordato di essere stato molto attento alle esigenze del settore, portando le risorse Pnrr dedicate ai campi da 5 a 8 miliardi di euro. Situazioni composite, invece, in altri Paesi Ue, in cui tra concessioni e proroghe, comunque, qualcosa per allentare la tensione è stato fatto. Sulla lista della spesa degli agricoltori ci sono temi come l’attenzione ai giovani, la correzione del cosiddetto Green Deal, la questione delle etichette e della protezione dalle imitazioni. Per non parlare del grande tema della protezione nei confronti dei prodotti extra-Ue che, proprio nelle ore della protesta a Bruxelles, ha fatto segnare un punto a favore dei produttori agricoli: il blocco dell’intesa tra Ue e area Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay). Un fermo che però, probabilmente, sarà solo temporaneo, visti i grandi interessi in gioco sull’accordo.
Cosa accadrà a questo punto? Difficile fare previsioni; più facile prevedere che l’Europa arriverà a un compromesso ampio, che possa far superare le proteste, contemperando esigenze dei produttori con quelli di bilancio, senza dimenticare la necessità degli equilibri internazionali e di quelli ambientali.
Andrea Zaghi