La recente iniziativa dell’Amministrazione comunale – da condividere pienamente – di proteggere il cosiddetto ‘pietrone’ di via Gabrielli, fortemente legato alla processione del Cristo Morto, ha messo in moto una serie di affermazioni che, a dir poco, lasciano perplessi. Torna utile e opportuno, visto anche il periodo, un intervento di Paolo Salciarini, direttore dell’Ufficio diocesano per i beni culturali, che mette a disposizione di tutti un contributo basato su tradizioni e documenti, facendo giustizia di interpretazioni di fantasia come quelle che chiamano in causa i rapporti addirittura con l’antico popolo degli umbri. ‘Il ‘pietrone’ o ‘petrone’ – spiega – è una pietra ovoidale, inserita nel selciato davanti al cosiddetto palazzo del Capitano del popolo, antica residenza della famiglia Gabrielli, sopra il quale il cataletto con il Cristo viene fermato ed offerto alla venerazione dei fedeli per circa 15 minuti. Quello attuale è stato rifatto e riposizionato nel 1949 (come informa Fabrizio Cece in Gubbio Oggi di marzo); il precedente, in forma più tondeggiante, era sconnesso e rotto. Dava l’impressione di una vecchia macina da mulino, utilizzata per non depositare cataletto e sacra immagine sulla fanghiglia della strada, situazione quanto mai frequente considerata la stagione in cui si celebra la solenne processione’. ‘Non conosciamo – prosegue – l’origine di questa tradizione, ma viene spontaneo pensare che quella pietra rappresenti la ‘pietra dell’unzione’ dove il corpo del Redentore venne spalmato di oli aromatici, conformemente al rito della sepoltura ebraica’. ‘Quella pietra dell’unzione, che oggi si trova a Gerusalemme nella basilica del Santo Sepolcro, tuttavia, è solo una copia ottocentesca. Sappiamo infatti che la lastra antica, veneratissima, fu traslata a Costantinopoli durante il regno di Manuele Comneno, attorno al 1170, ma è scomparsa durante il sacco della capitale bizantina, nel 1204: vergognosa e terribile pagina della quarta Crociata. Forse fu nascosta dai monaci ortodossi che l’avevano in custodia, e da allora è rimasta celata. Forse fu depredata insieme a centinaia, migliaia di altri oggetti preziosi, tesori d’arte e di fede, gioielli e reliquie, che i crociati portarono con sé tornando alle loro case in Italia, in Francia o in Germania’. ‘Oggetto di culto costante dei pellegrini cristiani – spiega ancora il direttore dei Beni culturali -, è stata riprodotta anche in opere d’arte famose come il Cristo morto di Andrea Mantegna. Perché il richiamo alla pietra dell’unzione? Il Cristo Morto, fino agli inizi del ‘900, era portato dai soli sacerdoti ed il momento in cui i fedeli si potevano avvicinare al sacro corpo era quello delle soste, in particolare quella del pietrone, dove veniva attuata la consuetudine di mettere nelle ferite bambagia con il balsamo (sostanza resinosa odorifera) per poi prelevarne dei fiocchi per devozione; una tradizione ancora viva nelle vicine Cagli e Cantiano. Le macchie nere che contornano mani, piedi e costato del nostro Cristo Morto testimoniano appunto l’uso del balsamo. L’aspetto della pietra dell’unzione era descritto nei reliquiari come di pietra rossa striata di bianco e di grigio. Chi è stato a Gerusalemme, presso il Santo Sepolcro, potrà forse riconoscerla: è la pietra dell’unzione davanti alla quale ancor oggi si inginocchiano i pellegrini a pregare, come ha fatto anche Giovanni Paolo II nella sua visita’. ‘Il nostro pietrone – conclude – è bianco; non conosciamo come fosse il precedente prima della sostituzione, ma certamente è plausibile pensare che rappresenti la pietra dell’unzione, anziché le molteplici fantasie a cui ci hanno abituato i cosiddetti storici dell’ultima ora’.