Quelle coscienze “negate”

Convegno dei Medici cattolici dell'Umbria sullo stato vegetativo

Dalla platea un medico perugino pone la questione della valutazione del limite tra cura di un malato in stato vegetativo e accanimento terapeutico, in tutta la sua cruda concretezza. Chiede quante volte dovrà ancora rianimare un uomo in stato vegetativo che ha già subito cinque arresti cardiaci. La risposta di Gian Luigi Gigli, direttore della clinica neurologica del ‘S. Maria della Misericordia’ di Udine, a capo del coordinamento friulano ‘Per Eluana e per tutti noi’, viene formulata nell’ambito del convegno dei Medici cattolici sullo stato vegetativo tenutosi sabato pomeriggio nell’aula dell’Accademia anatomo-chirurgica dell’Università di Perugia. Come dobbiamo trattare questi pazienti?, si chiede. Sulla loro idratazione e nutrizione ‘non abbiamo dubbi’, risponde, perché è il minimo vitale dovuto ad ogni essere umano. Se poi ci fosse necessità di somministrare antibiotici ‘avrei qualche dubbio’ sull’opportunità di farlo, ma sulla quinta rianimazione dopo un arresto cardiaco ‘avrei molti dubbi’ a farlo anche su una persona non in stato vegetativo. Gigli: ‘Qualche dubbio dagli studi’ Gigli, che è stato in prima linea nella vicenda di Eluana Englaro ‘sfidando poteri forti’, come ha detto il vice presidente nazionale dell’Amci Stefano Oietti, ha fatto un intervento all’insegna della prudenza. La assume come criterio e vorrebbe che lo facessero anche coloro che sostengono che le persone in stato vegetativo, non avendo nessuna coscienza di sé e di ciò che li circonda, non avrebbero una vita degna di essere vissuta. E quindi, la (loro) conclusione sarebbe che è meglio lasciarle, se non addirittura aiutarle, a morire. Il neurologo ha mostrato una serie di studi sulle reazioni di pazienti in stato vegetativo. I quali, ha sostenuto Gigli, ‘rispondono diversamente al loro nome rispetto ad un semplice rumore di fondo, attivando determinate aree del cervello. Ugualmente accade – ha aggiunto – se si sottopongono loro le immagini dei loro bambini o foto dove sono insieme ai figli. Non sappiamo con certezza se a queste diverse reazioni corrisponda una coscienza, ma ‘questi studi ci autorizzano a porci, quantomeno, in una condizione di dubbio’. Italia, 2.500 famiglie con pazienti in stato vegetativoL’incontro di Perugia sullo stato vegetativo ha sollevato dei dubbi. ‘Il paziente comatoso – ha detto Gigli – ha quattro strade: o muore o si risveglia con dei deficit, oppure cade in stato vegetativo o di minima coscienza. Alcuni – ha continuato – rispondono agli stimoli, altri no. Ma esiste una coscienza sommersa che i medici non sanno ancora riconoscere?’. Gigli ha poi fornito un dato significativo: ‘Oltre il 50 per cento di coloro che sono in stato vegetativo si risvegliano prima di un anno’. Dopo è sempre più difficile che il ‘miracolo’ avvenga, visto che il tempo gioca loro a sfavore, ma si sono registrati alcuni, pochi, risvegli anche dopo molti anni. In Italia, circa 2.500 famiglie mantengono cari in stato vegetativo; di queste, 1.700 li alimentano in casa. La Chiesa: no a cure sproporzionateIl direttore dell’Istituto di bioetica del ‘Sacro Cuore’ di Roma, Ignacio Carrasco de Paula, assistente ecclesiastico dell’Amci per il centro Italia, si è soffermato sull’eticità degli interventi sulla vita. Ricordando la posizione ufficiale del magistero della Chiesa: ‘C’è un unico documento, del 1980, della Congregazione della dottrina della fede, approvato dal Santo Padre, che è suddiviso in due parti: una riguarda l’eutanasia, l’altra gli specifici trattamenti. La Chiesa riconosce il diritto di ogni paziente a cure ordinarie e proporzionali. Ma ogni persona, di fede o non di fede, può rinunciare alle cure ‘sproporzionate’. Nell’imminenza della morte ‘ sta scritto ‘ sarebbe lecito interrompere tutti i trattamenti, tranne quell’assistenza che ci accompagni ad una fine serena’. Ossia la nutrizione artificiale e l’idratazione. Al convegno, moderato da Mario Timio e Gabriella Angeletti, sono stati presenti ed hanno portato il loro saluto l’arcivescovo di Perugia – Città della Pieve mons. Giuseppe Chiaretti e il preside della facoltà di Medicina e chirurgia Adolfo Puxeddu. Sugli aspetti giuridici e deontologici è intervenuto Andrea Sassi, ordinario di Diritto privato all’Università di Perugia. Paolo GiovannelliIl nodo della questione è se ogni vita abbia dignitàProfessor Gigli, quale è il nodo del dibattito apertosi sul caso di Eluana Englaro?’Il nodo della questione è se esistano persone la cui vita non ha sufficiente dignità e significato. Io credo che la malattia non tolga mai dignità al malato, e che la vita abbia un senso anche in situazioni estreme, come quelle dello stato vegetativo. Solo se, in qualche maniera, si stabilisce da una cattedra esterna che queste persone non hanno sufficiente dignità o significato, allora le si può sopprimere. Chi ci sta vicino sa invece che sono persone che hanno pari diritti e pari dignità; talvolta riescono addirittura ad arricchire la convivenza sociale con la loro presenza. Anzi, generalmente la arricchiscono. E allora non può, questa stessa convivenza sociale, per ragioni di opportunità, farne a meno’.Hanno creato grande disorientamento anche coloro che affermavano che Eluana era già morta”Sul fatto che fosse viva non c’è ombra di dubbio. Altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di lasciarla morire… Vede, i medici in questa vicenda non è che non avessero stabilito se fosse viva, al di là di qualche idiozia che è stata detta. Il problema era: è una vita veramente umana, quella di chi ha un livello di coscienza ridotto? Come certamente era in questa situazione, o addirittura, secondo alcuni, assente. Secondo me la coscienza non era assente, ma, anche se lo fosse stata, non per questo veniva meno l’umanità di questa persona. Quindi, non per questo avremmo potuto ‘accompagnarla’ alla morte’.La legge sul fine vita in discussione al Parlamento garantisce il malato?’Secondo me, sì. Non è vero, come è stato detto, che sia una legge che ‘forza’ le cose. In alcun modo. Mette solo un punto fermo sul fatto che idratazione e nutrizione sono assistenza di base. Per il resto, il malato mantiene una voce in capitolo importante sulle decisioni che lo riguardano. Certamente però esclude che le strutture sanitarie possano essere chiamate, come nella vicenda Englaro, ad accompagnare alla morte’.

AUTORE: Maria Rita Valli