Questa domenica segnava la terza tappa del cammino dei catecumeni e dei penitenti verso Pasqua: il Vangelo della prima domenica presentava la vita cristiana insidiata dalla tentazione, la seconda domenica la vedeva come ascesa al Tabor per scoprire in Cristo la propria dignità di figli, la terza domenica la vede inserita in un nuovo culto diverso da quello che si svolgeva nel tempio di Gerusalemme. Ormai il culto cristiano avviene “per Cristo, con Cristo e in Cristo” come proclamiamo nel canone della messa.
Cerchiamo di capire: la nostra preghiera e la nostra adorazione sale a Dio “per” mezzo di Gesù Cristo, perché egli è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini e ci rappresenta tutti come nostro Sommo Sacerdote. Noi celebriamo la nostra liturgia ‘on’Gesù Cristo che ci unisce tutti come pietre vive, così che insieme noi offriamo il suo e il nostro sacrificio. Addirittura “in” lui noi viviamo come una cosa sola, e in lui noi ci presentiamo a Dio in un solo corpo e in un solo spirito; egli ci ricapitola e da voce a tutti noi. Paolo gridava forte ai suoi cristiani di Corinto: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Santo è il tempio di Dio che siete voi”(1 Cor 3,16s).
Con la guida della liturgia rileggiamo il Vangelo di Giovanni che viene oggi proposto alla nostra meditazione comunitaria. Gesù viene a Gerusalemme per la festa di Pasqua, la sua prima Pasqua con i suoi discepoli. Arriva dalla Galilea dove ha compiuto il suo primo miracolo a Cana; si è poi stabilito a Cafarnao da dove irraggerà a cerchi concentrici la sua attività per tutta la regione. Giovanni completa il quadro dell’attività prevalente di Gesù in Galilea offertoci da Matteo, Marco e Luca, inserendovi vari pellegrinaggi a Gerusalemme per le grandi feste giudaiche (Pasqua, Pentecoste, Capanne).
Il primo pellegrinaggio di Gesù nella città santa e caratterizzato dalla cacciata dei venditori dal tempio e dal dialogo notturno col rabbino Nicodemo, due eventi ricchi di significato. I Vangeli sinottici pongono l’episodio della purificazione del tempio a ridosso della ultima pasqua, quella della passione e morte di Gesù (Mc 11,15-19 par.). Non potevano fare altrimenti, perché per loro quella era la prima e l’ultima volta che Gesù metteva piede nella capitale. Così videro il gesto dimostrativo di Cristo come la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, perché nell’occasione i capi presero la decisone definitiva di eliminarlo per paura che sovvertisse l’ordine costituito. Giovanni invece, che cita almeno tre Pasque nella vita pubblica di Gesù, colloca l’evento nella prima Pasqua vissuta da Gesù nella città santa. Per lui era il segno del rinnovamento del culto giudaico ormai sclerotizzato e senz’anima. Si sentiva a disagio in quel luogo sacro invaso dal chiasso e dal commercio, dove Dio sembrava lontano. Fu preso da un senso di rabbia e di furore divino, fece una frusta con il cordame raccolto e iniziò a menar colpi a destra e a sinistra.
Cominciò dalle pecore e dai vitelli in vendita per i sacrifici cruenti che si praticavano sull’altare, poi rovesciò i tavoli dei cambi dove si barattavano le monete greche e romane con quelle ebraiche, uniche accettate come offerta, perché prive di immagini profane. Infine invitò con più garbo ma con decisione i venditori di colombi, che erano l’offerta dei poveri, a portar via la loro merce trasferendola nella sottostante valle del Cedron, dove normalmente c’era la piazza del mercato. Sembrò a molti di risentire la voce adirata del profeta Geremia che seicento anni prima aveva tuonato: “Forse è una spelonca di ladri ai vostri occhi questo tempio che prende il nome da me?” (Ger 7,11). I discepoli si ricordarono delle parole di un salmo che avevano udito risuonare in quei cortili: ‘o zelo della tua casa mi divorerà'(Sl 68,10). Più tardi capirono che quel gesto costò molto caro a Gesù, come erano costate care a Geremia le sue invettive, ambedue “divorati” dal loro zelo ritenuto sacrilego.
Guai a toccare il feticcio del tempio! Le autorità ebraiche si legheranno al dito quel gesto e quelle parole di Gesù e gliele rinfacceranno nel suo processo come crimine degno di morte. I mercanti presi di mira da Gesù dovettero lamentarsi con le autorità e la polizia del tempio per quello che ritenevano un sopruso e questi intervennero tempestivamente a chiedere spiegazioni a Gesù, soprattutto a esigere un segno, un documento dimostrativo delle sue pretese. Ancora una volta Gesù rimanda al segno dimostrativo per eccellenza della sua missione divina: la sua morte e risurrezione, i famoso segno dei tre giorni di Giona (Mt 12,38s).
Questa volta però lo applica al Tempio del suo corpo, generando un certo equivoco negli ascoltatori. Questi pensano che egli chieda di distruggere il tempio maestoso in cui si trovano e rispondono beffardi che ci sono voluti 46 anni per costruire quel monumento che lui dice di riedificare in tre giorni. Infatti la ricostruzione fu iniziata da Erode il grande nel 18 a.C. e il qurantaseiesimo anno cadeva proprio nel 28 della nostra era, quando Gesù aveva appena cominciato la sua attività, dopo la morte del Battista. Ma il tempio di cui Gesù parlava era il Tempio del suo corpo, quella tenda in cui divenne carne (Gv 1,14). Il giorno in cui Gesù spirò sulla croce, si squarciò il velo del tempio ad indicare che ormai egli apriva un tempio nuovo con lo squarcio del costato di suo Figlio. Nasce in quel momento un nuovo culto inaugurato da Cristo che entra con il suo sangue nel tempio celeste di Dio (Eb 9,11s). A quel corpo di carne risorto, che fu tempio, altare e sacerdote, siamo stati aggregati tutti noi credenti a formare una cosa sola con lui. La chiesa, in cui stiamo celebrando la nostra liturgia è l’immagine esteriore di quel tempio vivente più grande che siamo noi e che si edifica ogni giorno in tutto il mondo. Qui si celebra il sacrificio spirituale della fede, del lavoro, della sofferenza umana. Tutti noi siamo tempio, altare, sacrificio e sacerdozio graditi a Dio.