Gesù aveva parlato con i suoi apostoli della Pasqua di passione e di risurrezione che lo attendeva a Gerusalemme, ma le sue drammatiche predizioni erano state contestate da Pietro a nome di tutti. Lui però non era retrocesso di un passo, anzi aveva coinvolto anche loro nel suo destino. Se volevano essere suoi discepoli, dovevano esser pronti a prendere anche loro la croce dietro di lui. Uno stesso destino univa il Maestro e i discepoli, nella passione e nella gloria. La Pasqua è mistero di morte e di vita. Gesù non ha mai parlato di morte senza annunciare la vita nuova che la segue. Non c’è morte senza risurrezione (Mc 8,31-38). Poi aveva annunciato, per rassicurare i discepoli sconcertati: “Vi sono alcuni qui presenti che non moriranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza”(9,1).
Eccoli lì quei tre privilegiati, Pietro, Giacomo e Giovanni, pronti ad assistere allo spettacolo di quel regno di Dio che sta per manifestarsi con potenza sul monte. Perché il regno di Dio è la sua regalità potente, portata da Gesù nel mondo con la sua venuta. Si era manifestata nei miracoli e nella parole efficaci del Figlio di Dio. Ora sta per manifestarsi nello splendore della gloria divina. I tre che salgono con Gesù sono scelti a rappresentare tutti gli altri, come colonne della Chiesa del futuro. Pietro scriverà più tardi ai suoi cristiani con malcelata soddisfazione: “Non per essere andati dietro a favole inventate dalla fantasia, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore. Egli ricevette onore e gloria da Dio, quando dalla maestà della gloria gli fu rivolta questa voce: ‘Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale mi sono compiaciuto’. Quella voce noi l’abbiamo sentita scendere dal cielo, mentre eravamo con lui sul santo monte” (2 Pt 1,16-18).
Saliamo anche noi su quel monte santo per contemplare la sua e la nostra gloria, perché anche noi siamo figli nel Figlio; in noi, in forza del battesimo, si rispecchia il suo volto trasfigurato. Sarà visibile solo quando saliremo con lui in cielo. La trasfigurazione di Gesù è l’anticipo della sua risurrezione, come egli stesso spiegherà scendendo dal monte, dopo la visione. L’evangelista vede nel Tabor l’immagine di almeno altre due montagne sacre, dove Dio si era già rivelato agli uomini. Innanzitutto il monte Moria di Gerusalemme, dove più tardi Salomone costruirà uno splendido tempio. Secondo la tradizione ebraica, quello era il monte sul quale salì, dopo tre giorni di cammino, Abramo per sacrificare suo figlio Isacco. Su quel monte un padre portava profeticamente il suo unico figlio, l’amato, per sacrificarlo a Dio. Gli venne però restituito sano e salvo, come risorto da morte (Gn 22,1-13). Così venne prefigurato con diciotto secoli di anticipo il mistero di morte e risurrezione di Cristo, Figlio unico e immensamente amato (è la prima lettura di oggi).
Il secondo monte richiamato dall’evangelista, e dalla tradizione cristiana da lui raccolta, è il Sinai. Nel racconto evangelico sembra risuonare quasi alla lettera la narrazione dell’ascesa di Mosè: “Mosè salì con Aronne, Nadab e Abiu. Essi videro il Dio d’Israele” (Es 24,9): una salita per una visione divina, come nel Vangelo di oggi. A rafforzare il confronto appaiono sul Tabor le figure di Elia e di Mosè, tradizionali frequentatori del monte Sinai. Qui Dio li aveva fatti salire ed era apparso loro in tutta la sua potenza. Arrivati sulla cima della montagna, Gesù ‘fu trasfigurato davanti a loro’. Il cambiamento esteriore fu improvviso e accecante. Dio aveva cambiato l’aspetto esteriore di suo Figlio, come se avesse tolto il velo che ne copriva la gloria divina, o avesse fatto filtrare lo splendore attraverso il corpo reso trasparente.
Pietro, che sta dietro lo scritto di Marco, ricorda quel momento in maniera vivace: “Le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche”. Per dire che uno spettacolo così non si era mai visto sulla terra; era uno squarcio di paradiso. È la descrizione simbolica della condizione divina, di Gesù e nostra. Il candore era considerato la veste di Dio e simboleggiava la vita eterna, la luminosità abbagliante del sole indicava la sua gloria divina, invisibile ad occhio umano. È l’anticipo della condizione di Cristo risorto, mostrata a metà del suo cammino terreno. Mentre Gesù si trasforma in figura divina, emergono dal mondo celeste Elia e Mosè. Come rappresentanti della Legge e dei Profeti, vengono a confermare le parole che Gesù ha detto nei giorni precedenti sul suo destino di morte e risurrezione. Sulla via di Emmaus, questa volta con altri due discepoli anche loro increduli, Gesù richiamerà la duplice testimonianza del Tabor: “Cominciando da Mosè e da tutti i Profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”, cioè: “era necessario che il Cristo soffrisse per entrare nella sua gloria” (Lc 24,26s).
Quella gloria si spiegava in anticipo, in tutto il suo splendore, sulla cima del monte. Ed è proprio Pietro, che aveva contestato la prima predizione della Passione meritandosi il titolo di Satana tentatore (8,33), a reagire in maniera spontanea alla scena: “Rabbì, è bello per noi essere qui! Facciamo tre capanne”. Confessa subito che era la paura a farlo parlare così, giusto per dire qualcosa e rompere quell’atmosfera d’incanto. Ma fu subito azzittito dalla venuta di una nube che coprì la cima, simile alla nube che era scesa sul Sinai quando Dio parlò con Mosè (Es 19,16). Era segno della presenza del Dio invisibile ad occhio umano. Dalla nube uscì la voce del Padre, più autorevole di quella di Elia e di Mosè: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”‘. È la stessa voce che risuonò al Giordano, con un’aggiunta significativa: “ascoltatelo!”.
Aveva fatto scandalo la predizione della passione, della morte in croce e della risurrezione fatta da Cristo. Come poteva Dio sacrificare in modo così crudele suo Figlio, lui che aveva risparmiato Isacco, il figlio amato di Abramo? Ora il Padre veniva a dire che le cose stavano proprio così come le aveva presentate Gesù. Quello era il suo piano misterioso, deciso insieme al suo Figlio amatissimo. Poteva apparire assurdo, ma i pensieri di Dio non sono quelli degli uomini. Gesù aveva portato quei tre sul monte apposta per far udir loro la conferma del Padre alla sue parole. Ora potevano scendere da quel luogo di grazia. Gesù raccomandò loro di non rivelare a nessuno ciò che avevano visto e udito, fino a quando non fosse risorto dai morti. Marco ci dice che mantennero la consegna, ma cominciarono a tormentarsi con l’interrogativo sul significato della risurrezione dai morti. Chiarito un dubbio, ne nasce subito un altro. Il mistero di Dio insegue l’uomo fino alla visione finale, dove tutto sarà chiaro.