Stato e Antistato: due morti iconiche, parallele, quasi simultanee. Non sono morti né lo Stato (per fortuna), né l’Antistato (purtroppo): sono morti due uomini che in vita avevano avuto in sorte di rappresentare e quasi incarnare, rispettivamente, l’una e l’altra di quelle entità ideali. Giorgio Napolitano, vertice e simbolo dello Stato; Matteo Messina Denaro, vertice e simbolo dell’Antistato.
Che cosa è lo Stato? In alcune visioni filosofiche è stato idolatrato come la realtà suprema, fonte non solo del diritto inteso come legge ma anche dei valori etici; in altre è stato dannato come una creazione diabolica. Più equilibratamente oggi possiamo dire che lo Stato, ogni Stato, adempie quanto meno una funzione primordiale: mantenere l’ordine e la pace interna della comunità. Lo fa sostituendo la sua giustizia alle vendette private, dettando regole e sorvegliando che siano rispettate, risolvendo le liti fra privati. Questo accadeva già quando Romolo, secondo la leggenda, fondava la città di Roma.
Lo Stato moderno continua a svolgere questi compiti, e se ne è dati altri: organizzare e gestire i servizi pubblici essenziali come la scuola, la sanità, i trasporti, le comunicazioni; infine garantire (quando ci riesce) il benessere collettivo in modo tale da rispondere ai bisogni essenziali anche dei meno fortunati.
È questo lo Stato al quale, per diversi anni, Giorgio Napolitano ha prestato il suo volto; degnamente, lasciatemelo dire. Matteo Messina Denaro ha sempre disconosciuto questo Stato e se ne è sentito estraneo e nemico, disprezzando i suoi rappresentanti e i suoi servitori. Lo ha fatto capire perfino quando rispondeva agli interrogatori, una volta arrestato dopo decenni di latitanza durante i quali aveva continuato a dirigere l’Antistato. Così come ha fatto capire che non si considerava sconfitto, che lo avevano preso perché lui lo aveva voluto, e lo aveva voluto perché stava per morire.
Ma, intanto, a quello Stato che disconosceva e disprezzava aveva chiesto – sotto falso nome – e chiedeva ancora quelle cure che esso, per essere fedele ai suoi princìpi, garantisce a tutti, buoni e cattivi. Senza rendersi conto che, così facendo, dava la migliore testimonianza dell’utilità e della moralità dello Stato. Una testimonianza che, paradossalmente, vale tanto quanto quella che ha dato Papa Francesco, raccolto in silenziosa e segreta preghiera davanti al feretro di Giorgio Napolitano.