Siamo entrati nella Quaresima con l’austero rito delle ceneri, che sottolinea il carattere penitenziale di questo tempo di preparazione alla Pasqua. Diciamo subito che la caratteristica penitenziale non è l’unica e nemmeno la più importante della Quaresima. La durata dei quaranta giorni è calcolata sul tempo trascorso da Gesù nel deserto prima dell’inizio della sua vita pubblica. Il digiuno e il silenzio praticati da Gesù in quei lunghi quaranta giorni di deserto hanno ispirato la Chiesa a fare di questo tempo un periodo di maggior ascolto della Parola di Dio, di più intensa preghiera e di moderato digiuno, per favorire un incontro più intimo con il Signore. Da qui il passo fu breve per scegliere la Quaresima come un periodo di penitenza per i peccatori pubblici, che venivano riconciliati con Dio e con la Chiesa dal vescovo il Giovedì santo.
Ma la Quaresima fu caratterizzata fin dagli inizi anche come tempo di preparazione dei catecumeni al battesimo, amministrato la notte di Pasqua. Il tempo assumeva allora il carattere di gioiosa attesa, perché la risurrezione di Cristo garantiva il dono della vita divina e la risurrezione personale dei battezzati. Col venir meno del catecumenato degli adulti, scomparve per molti secoli questo aspetto sacramentale, e solo oggi viene riesumato. Sta a noi riviverlo come ricordo del battesimo, con gli impegni che esso comporta. Questa prima domenica è dedicata ogni anno al ricordo dei quaranta giorni passati da Gesù nel deserto, dove fu tentato dal demonio e ne uscì largamente vincitore. Da quel confronto con Satana infatti iniziò il cammino di Cristo verso la Pasqua di morte e risurrezione.
Da qui prende inizio perciò il nostro cammino quaresimale al seguito del Signore. Ma perché Gesù ‘fu sbattuto dallo Spirito di Dio nel deserto’ (questo significa il verbo greco ekbàllein) subito dopo il suo battesimo nel Giordano? Era necessario che facesse le sue scelte di vita in maniera chiara e irrevocabile, fuori da ogni condizionamento umano. A tu per tu con il Padre ha potuto orientare con sicurezza, come uomo, il suo cammino di redentore del mondo. La prima lettura accosta Gesù alla figura di Noè. Quest’ultimo patriarca dell’era antidiluviana richiama per contrasto la figura di Adamo, perché Dio lo chiama a rimettere in moto la storia del mondo devastato dal peccato. Egli salva il mondo, uscito dalle mani di Dio (gli uomini, gli animali, la terra), con la sua obbedienza, come Adamo lo aveva guastato con la sua disobbedienza. Dopo i quaranta giorni di diluvio che lavò il mondo (Gn 7,4), Dio stipulò con lui un’alleanza (la prima della storia), che garantiva per sempre la salvezza del creato. Come segno di questo amore divino, che stende ormai le sue braccia a proteggere il mondo, Dio tracciò un arcobaleno sulla terra. È una descrizione altamente simbolica, che indica l’armonia ristabilita tra il Creatore e le sue creature.
Dicevano gli antichi rabbini che Dio aveva appeso il suo arco e le sue frecce sulle nubi e si era disarmato nei nostri confronti: aveva sostituito la giustizia con l’amore. Noè è una figura profetica che annuncia Gesù Cristo, perciò sta dietro il racconto delle tentazioni raccontate da Marco, come in filigrana, con la sua obbedienza al piano di Dio per la salvezza del mondo. Con lui Dio stabilisce una nuova alleanza per la salvezza del mondo, e ristabilisce l’armonia tra cielo e terra. Il nuovo arcobaleno d’ora in poi sarà la croce. Il racconto di Marco è estremamente sintetico, quasi stringato. Non ci racconta, come fanno Matteo e Luca, le singole tentazioni subite da Gesù. Ci dice solo: “Lo Spirito (sceso su di lui nel battesimo) lo lanciò con forza nel deserto, e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana”. Il deserto è la regione arida che si estende ad occidente dal Giordano e del Mar Morto, quello abitato dagli Esseni di Qumran. Il deserto era il luogo dove Dio aveva educato per quaranta anni il suo popolo Israele, prima di introdurlo nella Terra Promessa.
Il libro del Deuteronomio ricordava: “Riconosci in cuor tuo che, come un padre educa suo figlio, così il Signore educa te” (Dt 8,5). Qui Dio aveva dato la sua Legge per indicare la via giusta per la salvezza alla sua gente. Il deserto però era anche ritenuto il luogo occupato dai demoni che vi spadroneggiavano. Il luogo era consono alla loro natura arida e incandescente. Il giorno del Kippur il capro espiatorio, caricato dei peccati di tutto il popolo, veniva inviato nel deserto, come per riportare al loro legittimo proprietario, Satana, i peccati che lui aveva seminato nei cuori. Come dimora di Satana, era anche il luogo della tentazione e della prova, quella che subirono gli ebrei lungo la loro traversata. La prova e le tentazioni che Gesù volle affrontare nello spazio di quaranta giorni erano modellate su quelle degli ebrei nell’esodo.
Marco lo presenta come la controfigura di Adamo, illustrata da san Paolo nella Lettera ai Romani: “Come per la disubbidienza di uno solo tutti sono costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” (5,19). I quaranta giorni erano ormai ritenuti una cifra classica per maturare un vera esperienza di Dio, dopo che Mosè aveva passato quaranta giorni e quaranta notti sul Sinai prima di ricevere la Legge (Es 24,18; 34,28). Quel tempo di solitudine servì a Gesù uomo per capire quale fosse la volontà di Dio nei suoi confronti. Qui imparò a fare il Messia e ad imboccare la via dell’umiltà e della sofferenza dalla quale Satana cercò inutilmente di sviarlo con le sue controproposte. Da quel momento nessuno potrà fargli cambiare idea, neanche Pietro (Mc 8,33).
Dopo la vittoria riportata da Gesù contro Satana, che gli proponeva strade di successo più facili e praticabili, Gesù ‘stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano’. Questa descrizione dell’evangelista ci suona strana e misteriosa. In realtà richiama la condizione paradisiaca nella quale si trovava il primo uomo creato da Dio e posto nell’Eden. Su questa immagine di armonia del creato ristabilita poggiava l’attesa messianica descritta da alcuni profeti come Isaia: “Il lupo dimorerà insieme all’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto, il vitello e il leoncino pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà. La vacca e l’orsa pascoleranno insieme, si sdraieranno insieme i loro piccoli; il leone si ciberà di paglia come il bue. Il lattante potrà giocare sulla buca dell’aspide, il bambino potrà mettere la mano nel covo dei serpenti velenosi” (Is 11,6-8; 65,25; Os 2,20).
Anche il servizio degli angeli richiama la condizione di Adamo, così descritta dal Talmud, un commentario composto dai rabbini ebrei già dal tempo di Gesù: “Il primo uomo sedeva a mensa nel giardino dell’Eden e gli angeli del servizio gli arrostivano la carne e gli servivano il vino” (Sinedrim 59b). I primi cristiani, che conoscevano le tradizioni ebraiche, capivano che Gesù, con la sua adesione al piano salvifico di Dio, ristabiliva l’armonia tra l’uomo e Dio, un rapporto nuovo come quello tra padre e figli. Egli, con le sue scelte, aveva riaperto il paradiso perduto. Ogni credente in Gesù, uomo nuovo, deve scoprire nella preghiera e nell’ascolto della Parola ciò che Dio vuole da lui, e mettersi su quella strada con decisone e impegno. Questo è l’impegno quaresimale di ognuno.